L'UOMO e la BESTIA

 

 bella bestia prigione

(La Bella e la Bestia – J. C. – 1946)

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Asceta: dal greco askētḗs che viene da askêin che significa semplicemente e s e r c i t a r s i.

Nel campo che possiamo chiamare come Vie alla coscienza spirituale o alla reintegrazione interiore ci si esercita…speriamo ci permettano allora di chiamare asceti coloro che esercitano disciplina sulle potenze dell’anima.

Ho notato che i detrattori più accaniti verso questo termine, messi da parte i mastini dell’ateo-materialismo militante (vedi l’ambiguo CICAP), sono proprio gli spiritualisti. Sembra un mistero.

Poi t’accorgi da “voci dal sen sfuggite”, che l’antipatia ha diverse radici: un  cattolicesimo appena represso ma che ronza vivo nel subcosciente, il raccapriccio verso la realtà della propria immagine che contende a Dorian Gray l’esigenza di tenere velato il quadro, ma soprattutto una paura abbietta verso l’ignoto, inteso come ciò che potrebbe trascendere la propria, personale realtà.

Il filo conduttore, il collante universale (chiamatelo come volete) è la bestemmia.

Non quella detta e sentita dai semplici, dagli innocenti (porco qua e porco là…).

No! La bestemmia vera è proteiforme, spesso razionale e ragionevole, suadente, talvolta amichevole. Allo sguardo interiore essa si riduce sempre a ciò che è sempre stata (simmetricamente opposta alla preghiera): è l’urlo della Bestia e nient’altro.

Da un certo punto di vista, la Bestia, sia pur terribile, non è un essere eccezionale poiché, come il male della Arendt, è banale, priva di fantasia, senza riscatto: grida e azzanna il vuoto, grida e azzanna il vuoto…così sempre, all’infinito. Se l’uomo non l’invitasse nel buio dell’anima sarebbe poca cosa. L’uomo ignora la propria grandezza e ottusamente nemmeno s’accorge quando la condivide con la Bestia.

La Bestia che usa l’intelletto umano, odia l’asceta. Così è sempre stato e continuerà a essere.

Sempre in oscena comunione con l’abisso, essa esprime in tutti i modi che sono permessi all’uomo che la veicola, il suo incessante odio verso l’Alto e verso chi tenta i percorsi di elevazione.

In realtà, con pacatezza di sguardo possiamo osservare come tutti gli uomini dabbene siano asceti: per amore o per dovere o per disperazione, tendono ogni giorno a superare se stessi: sul lavoro, nella famiglia, nell’accudimento dei bisognosi. Solo nella coscienza di veglia essi non ne sono granché consapevoli.

Purtroppo quando un barlume di consapevolezza si fa strada nella coscienza tutta la potenza degli Inferi si precipita a fermare una possibile alba della luce. E snatura ciò che non riesce a fermare.

Potete trovare altre spiegazioni, ma le cose stanno così.

Altrimenti come spieghereste il continuo ridimensionamento dei Maestri, svolto con ipocrite cautele, che ricorda tanto la martellata immagine del Logos imposta come “l’umile falegname di Nazareth”?

Il continuo ricacciare nello scantinato la messe di discipline esoteriche offerte (perché necessarie come l’aria per i polmoni) agli uomini da parte di tali grandi figure secondo le imperiose e misericordiose direttive del Santuario dello Spirito?

Il costante tentativo di seppellire tra risate, motteggi, offese, falsificazioni e disprezzo, lo sforzo ascetico dei pochi esseri dotati di un briciolo di buona volontà e coerenza?

L’uomo che si ritiene “normale” non avrebbe l’incrollabile costanza nel fare tutte queste cose! Già di suo, l’anima può diventare innaturalmente storta. Per la Bestia è invece espressione della sua propria natura: è la sua vita.

Natura che si fa persino raffinata quando finge una spiritualità che sa evitare il massiccio scoglio dell’impresa reale: la spoliazione delle proprie ricchezze, il superamento cosciente del sé ordinario: via battuta dalla Tradizione lungo l’intera storia dell’uomo e che si modifica quanto basta, quasi continuamente, poiché segue l’evolversi della struttura umana.

Come a dire che, alla fine, c’è sempre – dall’inizio del tempo dell’uomo caduto – la “cruna dell’ago” da attraversare: impresa nemmeno concepibile per la “ricchezza” del sé personale.

Avventura che procura un comprensibile timore all’uomo…ma un rifiuto selvaggio quando comanda la Bestia.

In questo sciagurato caso l’uomo schiavizzato si procura ogni genere di alibi (spesso incoerenti e ridicoli) che giustifichino la discesa verso il nulla.

Essa è ben celata dalle pareti senza appigli e speranza del razionalismo e del sentimentalismo: due potenti pietre d’inciampo: diffidate dalle “lucide” deduzioni e dall’esibito moralismo che, come pioggia sottile, si insinuano sulla strada e sui tetti.

Mentre per salire servirebbe la follia dominata, il freddo coraggio, l’accettazione del dolore profondo, l’illimitata fedeltà e, forse, un guizzo di memoria (nostalgia) per ciò che si è oltre l’illusione del tempo: ciò per osare gesti fatali, forse irrevocabili (cause) che non patiscano il canone del convenuto, dell’umano non più giustificato, superato, già indurito come la mummia che ci portiamo dentro.

In questo senso noi viviamo – male – nella morte, ove la vita che appare è riflesso e dubito fortemente che siano possibili “salti” se non a parole. Le parole!

Siete mai stati in una clausura? Io sì e posso dirvi che gli antichi metodi funzionano ancora. La parola è la prima cosa che viene tolta. Come ogni abitudine o vizio, per qualche giorno vorrebbe venir fuori dalla bocca, poi, come l’impulso s’acquieta, alla pari s’acquieta la testa e le vespe che vi hanno nidificato si addormentano al suono del silenzio. Facile come bere un bicchier d’acqua!

Ci si accorge che far eco alle cose con le parole e con i pensieri del pensiero è una fatica inutile, quasi una demenza: rumori nel mondo, rumori nell’anima.

Per qualcosa di simile gli asceti veri sono silenziosi. Essendo silenziosi sono invisibili: nessuna etichetta li distingue, conducono due vite e la vita interiore è dissimile a qualunque cosa che abbia un nome, che possa venir “parlata”, “discussa”. Se il mondo spirituale non impone loro il sacrificio di manifestare qualcosa, il silenzio interiore è estremo e le finalità del tutto incomprensibili, specie per i molti diventati servi dei parassiti interiori. Forse per questo la Misericordia divina li rende inconoscibili…e la Bestia non può vederli.

(NB: Righe di un demente affetto da “sindrome di Fort Apache”, ecco…)

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