BATTI 5…SE HAI CORAGGIO.

concentra

Per l’individuo che parte da una oscura reminiscenza prenatale e giunge ad una certa chiarezza di coscienza la “presa diretta” indicata dalla dea Ragione (che non va confusa col razionalismo) è il sadhana. Chi pratica è un sadhaka. Uso questi termini, chiaramente non antroposofici, poiché ci sono pure coloro ai quali si attorcigliano le budella se leggono la parola ‘ascesi’ – Steiner non l’ha detto – e forse così saranno più tranquilli e diverranno più buoni.

Un tempo venivano considerate (con una certa dose di buon senso pratico) tre situazioni, tre categorie di uomini che praticavano qualcosa sul sentiero della Conoscenza (la quarta, quella dei deliranti, non era prevista o considerata): il principiante, il proficiente ed il provetto. Gli ultimi due si supponeva che avessero atteso ai preliminari nel corso di precedenti incarnazioni. Per essi non erano necessari altri strumenti fuori dalla pratica meditativa: il distacco dalla fiumana dei pensieri e l’arresto delle funzioni mentali inferiori.

Dopo secoli che il sacro insegnamento era stato assimilato per opera dei grandi Traduttori, i maestri dell’Impero di Mezzo, vedendo – già a quel tempo – il pericolo della discorsività fine a se stessa, portarono Conoscenza e Trasmissione ad una essenzialità talmente ridotta in cui la fase analitico-discorsiva si consumava nel momento intuitivo e non passava oltre.

Un esempio a caso? Eccolo: “Un monaco chiese a Yun Men quali fossero gli insegnamenti di un’intera vita. Yun Men rispose: Una affermazione pertinente”.

Questo, più o meno, era quanto doveva bastare.

Prima di annoiarvi troppo vorrei sottolineare che il sadhaka dei tempi nostri trova (può trovare) un certo equilibrio tra la laconicità di Yun Men e le necessità della vita…purché sappia evitare lo squittio sorcino del “parler pour parler” almeno per quanto riguarda le discipline e naturalmente le discipline stesse.

E’ un problema grave parlare di ciò che non si sperimenta o non si conosce? Cosa induce individui a schizzar giudizi o improprie saggezze tre volte per settimana su una Scienza dello Spirito, di fatto sconosciuta, dimenticata o tradita? Problemi psichici o carenza di tosti esami medici? Perché si continua senza riposo ad ammaestrare con indicazioni fantasiose e/o sminuire la portata (enorme) dei cinque ausiliari? Oppure darne la valutazione che va d’amore e d’accordo con l’esorcizzazione delle cose serie secondo l’indirizzo antroposofista degli ultimi cinquant’anni anni se non di più?

Il sadhaka dei nuovi tempi è già atleta paolino se riesce a nuotare controcorrente tra gli infidi scogli del malato personalismo.

Poi inizia la pratica dell’eroismo con i semplici gesti dell’azione interiore. Deve avere buoni muscoli e cuore ben difeso, poiché, grosso modo, ogni cosa che fa è in contraddizione con le azioni umane generali e gli spiriti che spingono le tendenze modaiole del tempo.

Prendiamo ad esempio il primo dei cinque ausiliari, conosciuto come “controllo del pensiero”. Nelle opportune sedi vi diranno che è solo ‘igiene dell’anima’ e già da subito tentano di fregarvi sapendo dal subconscio che quarti di verità fanno più danno della menzogna. Oppure vi consiglieranno di fissare accuratamente l’oggetto cum oculos, dimenticando che il compito dell’esercizio è, al minimo, di “pensare obbiettivamente per virtù di forza interiore” senza essere “dominato dal mondo fisico-sensibile e dalle sue leggi” (sto indicando fatti che accadono davvero, qua e là, non mie cervellotiche deduzioni).

Vi diranno di fare l’esercizio in tre minuti (non è una novità come qualcuno crede; è invece vecchissima e risale probabilmente ai tempi in cui le direttive di Albert Steffen, usurpatore a Dornach, avvelenarono la salute cagionevole di quattro quinti dei gruppi europei). “Riguardo la durata della concentrazione…l’effetto è tanto più forte quanto essa può diventare più serena e più intensa. Vi è tuttavia uno speciale senso interiore, che si sviluppa per virtù degli esercizi stessi, che insegna allo scolaro la giusta misura a cui deve attenersi.”

Vi parleranno di rilassamenti corporei (e magari di training autogeno) mentre la “natura di tali processi dell’anima non si differenzia, per la sua qualità da ciò che avviene quando si svolge un sano pensiero o un giudizio. (…) Tutto ciò che a tale riguardo si comporta in modo diverso, non è vera disciplina spirituale, ma soltanto una sua deformazione.”

Vedete amici, i virgolettati sono di un testo base di Rudolf Steiner (La Scienza Occulta, V Cap.), non miei. Mio è solo il tentativo di mostrare che non viene letto e compreso nemmeno il terreno di fondamento dell’antroposofia…mentre si gonfiò come una sanguisuga l’antroposofismo bastardo e corruttore.

I cinque esercizi “sono indicati come metodi della disciplina occulta perché, se vengono eseguiti coscienziosamente, producono non soltanto i risultati immediati sopra descritti, ma indirettamente creano molto altro di utile per il cammino verso i mondi spirituali.”

Vi ricordo che soltanto Massimo Scaligero li chiama, senza timori di botteguccia, con il nome più pertinente: “Regole iniziatiche”.

Verissimo, poiché già con il controllo del pensiero, non privo di enormi difficoltà, inizia il combattimento tra l’io e l’astrale inferiore (radicalmente ed aristotelicamente, tra la potenza del Principio e l’azione del riflesso infero degli Ostacolatori).

Se qualcuno vi dice: “Ma è solo il pensiero” non rispondetegli nemmeno. Perché è stupido o bugiardo. Ogni pensiero voluto modifica tutta l’anima. Riaccende la volontà e domina quel sentire che non è altro che reazione animalesca e sognante al percepito o al rappresentato.

Ogni pensiero deliberatamente voluto, nonostante la ribellione del corpo, dell’anima e degli istinti mascherati da rappresentazioni di pensiero, è atto di coraggio e di morte. Coraggio poiché attinge a quella corrente immessa dal Logos nel cuore umano. Morte poiché si forma indipendentemente e oltre la propria personalità, virtuosa o viziosa che sia. E’ lei che soffoca, che si sente morire. E scalcia di brutto.

Eticamente è l’atto più morale che possa scaturire nella coscienza umana poiché l’io impotente è sempre quello che giustifica l’istintività corporea attraverso un astrale che domina l’ordinario del volere, del sentire e del pensare sino alla forma logica di questo. L’insistenza ed il rafforzamento del pensiero voluto dall’io restituisce all’uomo la giusta gerarchia di Spirito, anima e corpo. Solo a partire da questa disposizione l’agire potrà essere considerato davvero umano (etico).

Questo lo dico, poi lo ridico, lo ripeto, credo lo abbia digerito pure il mio portacenere…ma sembra dar fastidio o repellenza: credo che ciò abbia terribili radici in esseri che si sono abbandonati agli dei oscuri.

Con tale operazione, minimamente realizzata, si forma nell’anima uno “spazio vuoto” oppure una “zona di Silenzio” immune dalla personalità particolare, che permette al sadhaka gli ulteriori esercizi e non frivoli atteggiamenti contrabbandati dall’anima. Mi riferisco in particolare all’equanimità e alla positività. Comprendere che essi portano a reali modifiche di coscienza è possibile soltanto a chi sperimenta tali modifiche. Gli altri ragliano alla luna.

A parlare così si becca, nel migliore dei casi, l’infamia di un atteggiamento “aristocratico” inteso naturalmente come insulto.

Ma chi s’è formato, non dico col buddhismo, ma con l’occidentalissimo Aristotele, non vede in ciò alcun insulto. Se poi ha realizzato un microscopico “spazio vuoto”, dei torcimenti della psiche, fossero alti e possenti come cattedrali, non gli importa nulla.

Il ricercatore, se operativo, vive, almeno qualche volta, in condizioni di consapevolezza sovrarazionale, e buona parte del suo sforzo complessivo riguarda il raggiungimento di condizioni più vicine alla realtà dell’Essere che alla contingente inessenza delle fugaci, edulcorate passioncelle e delle rispettive rappresentazioni.

Avete letto? Parlo dei “cinque” esercizi poiché, un tempo si parlava così: sembra strano ma è già un sintomo. Poiché un tempo, quando gli antroposofi facevano davvero gli esercizi, sapevano, per diretta esperienza che il sesto si attuava praticamente da sé. E l’abitudine invalsa ora di definirli come “sei” è certo una cosa filologicamente molto corretta, specie se gli “esercizi iniziatici” rimangono ben attaccati alle pagine dei libri…

15 pensieri su “BATTI 5…SE HAI CORAGGIO.

  1. Grazie Isidoro, queste spiegazioni chiare e puntuali sono sempre molto utili per i principianti come me! Una domanda: ha senso e/o può nuocere agli esercizi o al percorso estendere il controllo del pensiero anche al di fuori dei momenti dedicati agli esercizi? Essendomi educata a rimanere concentrata e presente anche durante le attività quotidiane noto che, con gli esercizi, in certi giorni fatico molto di più a sostenere questa condizione durante la giornata. E’ deleterio continuare in tal senso? Grazie.

  2. Cara amica,
    qualcuno disse che “la catena è misurata”. Cioè che nell’ordinario abbiamo dei limiti. Inoltre il Dottore scrive, papale papale, (in principio alla “Soglia del mondo spirituale”) che mescolare le condizioni di coscienza normali con l’assetto della meditazione è un pasticcio che toglie a ambedue limpidezza, forza, ecc.
    Certo, nel lavoro occorre spesso un’attenzione ben polarizzata…ma se è per questo, anche una buona narrativa assorbe la nostra attenzione…
    Vedi, ho usato consapevolmente la parola “attenzione”. L’attenzione va coltivata possibilmente anche per lavare i piatti o buttar via la spazzatura…
    Di più, essa può essere esercitata nell’osservazione, cito a caso, nel guardare foggia e colori dell’abito di un passante, e così via. E’ un ottimo esercizio/disciplina! Ma persino questo dovrebbe essere un atto breve, in maniera di lasciare largo spazio alla spontaneità dell’anima.
    Mentre il controllo del pensiero è assai meglio che rimanga nel recinto dell’eccezionalità: lì metti tutto, lì fatichi e magari ripeti. Ma terminato l’esercizio, devi uscire, chiudere quella porta, immergerti nel mondo, permettere che il pensiero spontaneo giochi nella realtà quotidiana. Persino proibendoti di volgerlo alle discipline. Insomma, il tempo della disciplina interiore e la vita nel divenire delle cose, sono due mondi che, per molto tempo è saggio e sano tener lontani tra loro come il giorno e la notte!
    Carissima, tutto ciò è molto importante.
    Ti ringrazio perché abbiamo potuto sottolineare ciò.

  3. Grazie per i contributi Isidoro (non da Siviglia, ma da località meno “sudate”…)
    Per quanto riguarda la “spontaneità dell’anima” è bene ,a mio avviso, che lì venga comunque tentato, nel quotidiano, il graduale praticare gli “atteggiamenti” quale ns. porsi verso il mpndo…
    Alludo soprattutto alla positività ed alla spregiudicatezza mentre l”equanimità è già piu’ complessa in quanto implica la capacità del venire a capo dell’irruzione invasiva del mondo esterno dentro di noi e quindi richiede una buona dose di controllo del flusso pensante.
    Questo vale maggiormente nel caso di nature la cui spontaneità, parlo per me ovviamente, tende ad essere marcatamente “percorsa” da certe venature, diciamo così, ricadenti ad esempio nei “vizi capitali” della dottrina cattolica tradizionale (ira,gola, ecc.ecc.) Mentre il lavoro della volontà sul pensiero devev essere “puntiforme” e delegato soprattutto al momento scelto per la concentrazione, il lavoro di “rimodellamento” dell’anima andrebbe praticato proprio nel quotidiano che,come tale, ci offre una continua gamma di occasioni in cui , parlo sempre per me ovviamente, la natura iraconda o golosa o magari pigra e “sensuale”, tende ad erompere.Altri “piu’ quieti” magari “partono meglio”…
    Lo scopo finale degli “atteggiamenti” è in fondo quello che l’anima quotidiana non vada a rovinare, come spesso accade, quanto si è riusciti a liberare nel corso del lavoro “puntiforme” dell’atto della volontà sul pensiero…almeno così l’ho capita e sperimentata : sono consapevole che ho raggiunto un buon punto nella concentrazione, esco di casa e mi inc….col tassinaro che mi taglia la strada…addio al “buon punto”:
    Certo domnani o piu’ tardi ci riprovo….però se magari riesco a sorridere VERAMENTE , partendo dal profondo della comprensione umana, al tassinaro becero, forse sempre lo stesso, qualcosa riesco a “tenere” (ovverosia, per dirla “tecnicamente” a passare nell’eterico , corregetemi se sbaglio…..) Ma il punto,come ben diceva Isidorus Carsicus , è che gli atteggiamenti non vanno recitati.. anche se all’inizio è inevitabile cominciare con un po’ di “teatrino” comunque cominciare a smussare i “vizi capitali” male non fa!

  4. Ecco, Mitteleuropeo è riuscito a spiegare chiaramente l’altra parte della domanda che avevo lasciato implicita nella mia. Probabilmente è anche una questione di termini miei non corretti. Vedo e concordo con te, Isidoro, che i primi due esercizi devono essere necessariamente momenti a se stanti durante la giornata. Ma per gli altri bisogna pur riuscire a permanere in uno stato di attenzione e vigilanza su quanto ci si muove nell’anima, altrimenti la pratica risulta difficile, a dir poco. Infatti tu parli di attenzione nell’ osservazione, è a questo che mi riferivo.
    Il controllo del flusso ininterrotto di pensieri è diverso, in questo senso e a quanto mi sembra, da quello che avviene durante l’esercizio della concentrazione e dell’atto puro. Oltre gli esercizi, l’attenzione focalizzata sulle attività quotidiane porta a lungo andare anche ad interrompere il flusso pensante in certi momenti, ma avviene come conseguenza e non solo come sforzo diretto. La mia domanda iniziale nasce dalla constatazione che, da quando ho iniziato gli esercizi di concentrazione, questo interrompersi del flusso pensante nella quotidianità, si è fatto più rado e “complicato”. Però tu dici anche che “la catena è misurata” e credo che la risposta stia qui. Può essere una questione di portata energetica che si consuma più rapidamente con gli esercizi? Semplicemente maggior stanchezza dovuta ad un diverso e più focalizzato utilizzo? Grazie ancora.

    Approfitto del momento per portare a te e a tutti gli amici di Eco i miei migliori auguri per questo Natale. Che sia luminoso e colmo di gioia per tutti!

  5. Cara amica,
    per esperienza diretta credo di sì. Salvo “eroici furori” che durano due giorni, io, paladino del “fare molto”, ho osservato (a mio scorno) che un’ipotetica curva d’energia, dopo tot lavoro, cala. Certamente fa parte delle prove e controprove tentare ogni cosa, perché non esiste un metro uguale per tutti. Poi, strada facendo, le cose mutano.
    E’ un costante gioco di equilibri, anche ciò può diventare, nel tempo, una facoltà, una interiore sensibilità.
    Ribadisco solamente che è migliore la qualità piuttosto che le quantità: nemmeno con i 5 possiamo investire la giornata.
    Quando limito le discipline è solo perché ho visto troppa gente dedicarsi troppo all’osservazione della propria anima…riportando un bel zero nei risultati e un accumulo di stress che si abbatte sul sistema nervoso e su singoli organi predisposti.
    Come se fossimo sul dorso di un elefante…tanto è possente in noi quella parte dell’essere che, al principio (e non solo al principio), non ci è possibile dominare e possedere.

    Grazie per gli auguri…anche se aspetto l’Epifania, che “le feste porta via” 🙂

  6. anzitutto grazie a ‘Isidorus carsicus’ per la qualità eccellente del lavoro che ci dà. a me sembra che sia proprio la qualità del lavoro il centro della questione, a partire dalla concentrazione ‘esagerata’, esageratamente e tenacemente voluta. Ultimamente, mi sono riletto gli esercizi,come riportati nel glorioso ‘archetipo’ da un testo ‘storico’ di Massimo Scaligero: per esempio,per l’equanimità viene suggerita una semplice pausa….in caso di ‘impeti furiosi’ contro tassisti (anche se se lo meritano…)può anche….tramutarsi in una risata. credo sia importantissimo ‘martellare’, provare e riprovare, cioè leggere e rileggere le regole, trascrivere, costringersi a soffermarsi sino a che non sia conseguita la massima attenzione costante, presente, cosciente, affinché la fascinazione dovuta a un linguaggio che non ha eguali quanto a potenza comunicativa (dico delle parole di Scaligero, capaci di portare a sperimentare direttamente quello che poi dev’essere duramente conquistato, anche a prezzo di errori, mancanze, e reiterati quanto (miei) epici ‘capitomboli ‘), sia animata nell’intimo da un indomito, cocciuto, ostinato, rabbioso volere, per divenire terso e deciso oltre ogni limite (anche se sono istanti questi almeno per me, il culmine perseguito della massima intensità per ogni singolo esercizio credo proprio sia ciò che conta, secondo la mia modesta esperienza senza pretese ‘docetiche’).
    Per ogni ‘regola iniziatica’ vale, a mio parere, un criterio che personalmente ho assimilato nel mondo delle arti marziali da maestri giapponesi: praticare ogni giorno con la massima intensità restando intenti in ciò che si sta facendo, ogni particolare della più semplice azione essendo ‘ultimativo’. L’essenziale è ciò che normalmente sfugge…e si torna a ripetere più volte, dopo molti anni, l’inizio di una forma di spada, perché non hai mosso bene il piede o l’anca…..Dalla concentrazione ‘a pioggia’ ogni singola ‘regola’ assume valore, quanto più è spontanea e lasciata libera la vita quotidiana, con la consueta ‘dispersione di forze’ e di ostacoli che Mittel ha ben descritto e in cui ahimè mi ritrovo.
    Ma ci vuole anche molta autoironia..osservarsi distaccati…quando passo per la mi rileggo come se lo leggessi a un bambino di dieci anni quanto scrive Scaligero a proposito della gratitudine in ‘Guarire con il pensiero’:in quel momento, massima intensità, esigere da se stessi il massimo e mantenere ferma l’intenzione in caso di ‘fallimenti’ prima, durante e dopo…in conclusione, a me ha aiutato molto una frase letta sull’archetipo , anche perché….sembra detta da un maestro giapponese. Grazie e buon Sol Invictus

  7. Isidoro, prima voce ululante dei lupacci carsici nel coro,
    bisognerà che tu, con mahayanica compassione, adopri ancor più pazienza con gli ottusi e i furbastri, e che ti spieghi meglio, a totale beneficio di color che non trovano di meglio da fare per sprecare inutilmente il loro tempo che di pestar l’acqua nel mortaio, con l’unico risultato di fare un bel “forum” nell’acqua.
    Tra le vicende della tragicomiche della vita, accade di andare a teatro per vedere una tragedia di Sofocle, e di trovarsi di fronte invece una commedia napoletana di Eduardo Scarpetta.
    Quel pessimo soggetto di Hugo si è trovato ad essere del tutto inaspettatamente autore delle tue stesse parole. E’ vero che l’essenza di tutti gli io sia unica in tutti i pur diversi io – come la “Natura di Buddha”, che come insegnava Chao-chou nel Celeste Impero, anche i cani posseggono – ma di fronte allo stupefacente evento, ad Hugo è venuto per un attimo il sospetto di essere un io in due corpi. Che poi sarebbe il rovescio della schizofrenia clinica che manifesta due personalità o due ‘io’ in un sol corpo! Poffarbacco, che problema! Ma poi – dis bene juvantbus – Hugo, da bravo lupaccio, si è subito ripreso, e si è reso conto che l’immane confusione l’ha fatta qualcun altro, attribuendo ad Hugo – che, commosso ringrazia: troppissimo onore! – tuoi pensamenti e parole. E se la prende con Isidoro-Hugo!
    Cos’è successo? Una mosca ha buttato giù un cipresso? L’Imperator del Sol Levante caduto dentro al cesso? No, per fortuna e benevolenza dei Numi, nulla di tutto questo!
    E’ accaduto, invece, che un cattantroposofo – per favore, aprite le finestre e date aria, ché n’antro po’ soffoco! – che troppo frettolosamente ha letto quanto scritto da Hugo – e ancor prima da te – se l’è presa a male per aver Hugo denunciato il metodo volutamente irriverente e irridente di presentare la figura del Dottore ( “Ma Steiner faceva il guaritore?”) e con quanta disinvoltura si “taglino” dal contesto sue frasi per farne con tutto comodo e inconfessabili fini un uso improprio. E il tutto confessando – come se fosse un’attenuante e un permesso per parole in libera uscita – l’ignoranza e la non lettura dell’Opera Omnia di Rudolf Steiner.
    Costui scrive:

    “Hugo mi fa l’onore di citarmi in un suo commento su
    https://www.ecoantroposophia.it
    ma purtroppo se da Canis lupus o Crocuta crocuta il suo comportamento lo giudichi il lettore
    CITAZIONE
    E, tanto per pescare nel torbido, credendo di essere spiritoso, getta fango sul Dottore, con espressioni da baraccone e da fiera. Eccole:
    “Ma Steiner faceva il guaritore?”
    E dopo aver riportate, fuori dal contesto, alcune brevi citazioni del Dottore, costui si dà al fantaesoterismo, proponendo le sue velenose illazioni:
    “La domanda del titolo, per la verità è un po’ retorica: ho la netta impressione che Rudolf Steiner, almeno fino a quando sospese gli incontri individuali, dopo l’inizio della guerra, praticasse ciò che descrive (e su cui non ho trovato altri accenni, ma l’O.O. non l’ho ancora letta neppure una volta).
    Qualcuno sa dirne qualcosa?”.
    [Segue citazione dal precedente post di Hugo]
    “”Delle sue “nette impressioni” nulla ce ne cale. Ma è evidente che il mambrucco – che ancora una volta professa la sua inintelligente ignoranza – lancia il sasso nello stagno, per vedere se i ranocchi seduti sul fondo saltano fuori.””
    Sappia allora che le mie nette impressioni non le ho poste per il suo calere ma per un senso di rispetto verso il lettore, cui non mi sembrava leale non palesare il mio pensiero.
    Ma ciò che Hugo non si meritava è di accusarmi di aver riportato le citazioni fuori dal contesto: ovvio che se Steiner ne avesse trattato più estesamente, forse non avvertivo la necessità di porre la questione. Viceversa, per quanto è dato sapere ad un inintelligente ignorante (troppo buono: bastava ignorante) si limita a quei brevissimi accenni parlando di altre cose (Hugo, ma se hai aperto quelle pagine, come puoi parlare di “fuori dal contesto”?). Spiace rilevarlo in chi afferma che “Con tale operazione, minimamente realizzata, si forma nell’anima uno “spazio vuoto” oppure una “zona di Silenzio” immune dalla personalità particolare, che permette al sadhaka gli ulteriori esercizi e non frivoli atteggiamenti contrabbandati dall’anima. Mi riferisco in particolare all’equanimità e alla positività.” Mi riferisco in particolare all’equanimità e alla positività, anch’io.”

    Ora è evidente che il furbante mambrucco filoignaziano attribuisce ad Hugo le tue parole, vecchio lupaccio impenitente d’un Isidoro. Così come è evidente ch’egli ha mal letto le tue pur chiare parole, o che volutamente le vuole equivocare e, distorcendole, usarle contro te – che denunci apertamente l’ipocrita o illusa recitazione di quelle qualità o disposizioni dell’anima non possedute da chi non va a fondo nella Via del pensiero – e contro Hugo, che sarebbe poco equanime (verissimo: lo sanno anche i poppanti) e per nulla positivo (ancor più vero), e che proprio perché molto più che imperfetto (senza congiuntivo) si dà a praticare la concentrazione a palla.
    Ma il pessimo Hugo, pur essendo un lupaccio selvaggio della steppa, almeno quando legge cerca di leggere bene, e non scambia quel che scrive Isidoro per proprie cose.
    Volpi e gatti farebbero bene a stare molto alla larga da un tal lupo feroce, il quale proprio perché ‘gentile’, ossia pagano a fuoco e nulla affatto cristiano (lo dicono tutti…), soffre di una incoercibile sindrome compulsiva, che lo porta a mordere e a sbranare gatti e volpi provenienti dal pollaio ignaziano.

    Hugo, che pappando la lasagna,
    tien la bocca chiusa e mai si lagna.

    • Lasciateli perdere i confusi………in certi siti andai ma me ne ritornai senza riuscire a legger tutto che la testa mi girava……quanti ragionamenti contorti e faticosi da seguire……se poi si considerano pur le inesattezze….direi che le energie sono sprecate davvero per darvi attenzione.

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