Quo vadis?

Bivio

 

Negli ultimi anni si sta assistendo al fiorire di molteplici discipline che tentano di conoscere, spiegare, curare e superare conflitti e malattie legate alla corrente ereditaria. L’ impressione è che, da un certo punto della storia in poi, tutta l’attenzione di studiosi, psicologi, ricercatori stia convergendo nel considerare effetti e cause di malattie da un punto di vista generazionale. E’ solo di qualche giorno fa la notizia che alcuni ricercatori hanno scoperto porzioni di DNA nelle quali sarebbero codificati traumi risalenti ad almeno tre generazioni antecedenti.

Per la scienza ufficiale, quindi, il problema risiede ancora e soltanto a livello genetico, mentre invece in altri campi si fa un gran parlare di una sorta di “inconscio famigliare” che trasmetterebbe, in una qualche forma, impulsi e deviazioni a livello trans-generazionale. Lo studio e la ricerca in tal senso stanno avendo una decisiva accelerazione negli ultimi decenni, nel tentativo di arrivare a codificare e curare nodi e conflitti che si riverberano sul piano fisico (con conseguenti malattie) ma anche su quello relazionale e lavorativo.

La spinta verso il miglioramento delle condizioni di vita o di un’ idea ancora molto confusa di benessere, è fortissima. A volte è possibile anche ravvisare l’ effettivo aiuto che la comprensione  e il superamento di certi blocchi, apportano alle persone. Si arriva, però,  anche a chiedersi fino a che punto il curare una personalità disfunzionale abbia un senso, dato che il problema a monte, che è l’asservimento della Forza primigenia al dato di natura, resta invariato e inconosciuto.

“Che senso ha conquistare il mondo, se poi si perde l’anima?”

Ci sono momenti in cui si arriva ad intuire che il modo usuale di guardare alle cose non basta più a spiegarne la complessa complessità che ci si rivela; che, in qualche modo, si cerca di tradurre (e tradire) certe intuizioni spiegandole in base ad una logica che fa acqua da tutte le parti, tentando di dar loro una parvenza di codificazione che non fa altro che snaturare la realtà intrinseca del problema stesso, evidenza che si ha sempre sotto gli occhi, incapaci di vederla e riconoscerla.

E’ un moto di disillusione continuo e perciò doloroso e critico che non può non atterrire per la vastità di quel che si presagisce esservi dietro, che non può non essere doloroso per quel tanto che all’ illusione ci aggrappiamo, per timore del baratro dell’ incertezza che comporta mollare tutti gli appigli, le forme usuali di una Forza di cui continuamente chiediamo al mondo di farsi carico, in nostra vece.

Alla fin fine facciamo tutto da soli, 10, 100, 1000 volte sempre lo stesso errore perché non osiamo ammettere che la libertà ci spaventa più delle catene. Liberi da cosa? Ma, soprattutto, liberi per cosa?

La lingua tedesca ha un termine specifico per designare certi momenti interiori: Weltschmerz, la sensazione che si prova quando l’ idea di mondo idealizzato crolla di fronte alla realtà. Le strutture e i  castelli in aria vengono distrutti, uno ad uno, senza pietà ma con un senso di compassione sottostante che è difficile comprendere appieno. Come certe parole dure di chi ha già attraversato il baratro, che sono un monito costante e scomodo a guardare oltre il dito che indica la luna.

Tanto vasti i Cieli, così profondi gli abissi. E siamo grandi, ancora troppo ingombranti, per contenere tale vastità.

4 pensieri su “Quo vadis?

  1. Cara kiarodiluna,
    hai fatto delle giuste riflessioni, magari con una sfumatura più “lunare” che “solare” però, secondo me, il passaggio verso il sole si può trovare.
    L’elemento che hai usato nel portarci le tue riflessioni è il pensare ed il pensare è la chiave di volta.
    Il pensare è la cosa più importante che abbiamo, è il nostro pezzetto di cielo in terra sempre a nostra disposizione, l’ attività spirituale che deve venir esercitata sempre più e sempre meglio se vogliamo conoscere noi stessi e il mondo. Viviamo costantemente in questo elemento e ogni risposta deve venire da lui: dal pensare, dal Logos in noi!
    Ti chiedi: “…liberi da cosa, ma soprattutto liberi per cosa?”
    Chi ti deve dare questa risposta viva, se non vuoi dipendere sempre da risposte pensate dagli altri?

    • Cara Mar_zia, grazie per il commento. Quanto dici è sacrosanto, è ciò a cui tendiamo ogni giorno, altrimenti non staremmo qui! Come anche il richiamo finale al non dipendere da risposte altrui, che mi accompagna da tempo.
      Mi accorgo che avrei potuto sviluppare meglio il tema, in maniera da non lasciare troppe implicazioni per scontato, magari ci ritorno su in altro momento. Grazie ancora!

  2. Quello che risalta dal quadro tratteggiato da kiarodiluna coglie in fermoimmagine una scienza materialista che nelle sue varie e diversificate espressioni ha raggiunto un limite; evento di cui sempre più persone hanno o cominciano ad avere un qualche sentore ed una certa risonanza animica più o meno importante, più o meno chiaramente percepita nelle sue più o meno evidenti manifestazioni a livello fisiopsichico.
    Non guasta ricordare che la summenzionata scienza ha operato fino al raggiungimento di tale limite nel pieno espletamento di quelli che erano i suoi compiti per quanto connesso al suo ruolo.

    Forse questo limite era anche un “dove” deputato a vedere l’incontro la scienza materialista ed una scienza dello spirito.

    Se così fosse dovremmo allora chiederci chi ha mancato all’appuntamento. Dovremmo chiederci se il fatto che raggiunto quel limite che avrebbe dovuto vedere un’incontro da cui avrebbe potuto aver inizio una fase di risoluzione, di superamento per mezzo di forze per così dire di “risalita” si sia invece tradotto in quello che di primo acchito appare come movimento di ulteriore discesa e avvitamento di una sola componente su sé stessa non dipenda dal fatto che l’altra componente si sia smarrita, senza aver portato a termine il proprio compito, in un movimento similare di autoavvitamento discendente, con l’aggravante del rimiramento autocompiacente di sé stessa, dimentica di Sè stessa e dei propri doveri, per la disattesa dei quali viene spesso perdipiù accusata la scienza materialista medesima.

    Non so se, come è parso a me, kiarodiluna abbia ritenuto implicito lo sviluppo ulteriore che Marzia ha poi esplicitato, che suona come rinnovato e mai inutile richiamo alla responsabilità per chi ha avuto l’onore e l’onere di incontrare la Scienza dello Spirito, onde non perdersi nelle paludi della tradizionalizzazione della Tradizione e dell’antroposofizzazione dell’Antroposofia.

    • Si Daniel, come ho risposto a Mar_zia, l’errore è stato nel non sviluppare in maniera più esplicita il tema, il che può portare a considerare preponderanti sfumature più “lunari”, che comunque ci sono.
      L’ articolo parte da una constatazione e da un percorso mio in questi ambiti, negli ultimi anni.
      Da una parte una scienza medica che continua a guardare all’ uomo come macchina, sebbene ci siano piccoli spiragli di cambiamento che è possibile osservare, dall’ altra scienze sociali che iniziano a guardare la storia del singolo in maniera più allargata. Non siamo certo ancora arrivati al concetto di karma, almeno non se ne parla in maniera esplicita, ma l’ orizzonte è un pò più ampio.
      Il problema si pone, in definitiva, con l’ uso sconsiderato che si può fare di certi mezzi (omeopatia compresa), proprio per mancanza di cognizione e funzionamento degli altri piani.

      Non sono in grado di tratteggiare una storia della scienza che sappia rendere conto del momento in cui “il salto” avrebbe dovuto o potuto essere compiuto, mi pare certo, però, che siamo in gran ritardo e qui, come dici anche tu, Daniel, la responsabilità è rimessa nelle mani di ciascuno..

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