FUORI DAL CORO E ALTRO

 Fuori dal coro

Spesso mi si rimprovera di magnificare il volere a detrimento delle altre potenze dell’anima. Questo significa solo che non mi spiego bene o sufficientemente o che per molti il volere è un oggetto misterioso. E, in questo caso, non intendo criticare nessuno poiché tanti dei molti sono assolutamente sinceri. Vi sono persino raffinati antroposofi che, mettendo la corona in testa al ”umile intelletto”, vedono nella volizione un carattere ovviamente unilaterale di muscolarizzazione della via allo Spirito. Credo che valutazioni come questa siano nient’altro che opinioni, anche quando esse vengano riccamente guarnite con la dotta accademia di riferimenti steineriani.

Lo dico sempre: quando si hanno a disposizione migliaia di conferenze del Dottore, chi ha buona memoria e un po’ di pazienza può dire ogni cosa con un carattere quasi inappellabile ed è veramente difficile in tali prodotti distinguere ciò che è vero da ciò che è soltanto esatto di forma. Se poi uno conosce il tedesco e possiede i dischetti dell’O.O. può costruire monumenti più fiabeschi del castello di Neuschwanstein.

Ormai sembra inutile ricordare che Steiner si oppose al fatto che le conferenze di Stoccarda finissero a Monaco ecc. A fatto compiuto il Dottore volle che le copie viaggiatrici riportassero in testata la seguente dicitura: “Pubblicato come manoscritto per gli appartenenti alla Libera Scuola di Scienza spirituale del Goetheanum di Dornach. Non viene riconosciuta competenza di giudizio interno a questi scritti per chi non sia in possesso delle cognizioni necessarie richieste dalla scuola – sia per mezzo della scuola stessa – sia per via di altri mezzi da essa considerati equipollenti. Ogni altro giudizio verrà respinto nel senso che si rifiuterà in merito a questi scritti la discussione con i non competenti”. Poi le cose sono finite nella democrazia del diritto universale, beninteso senza doveri.

Sono “reazionario”? No, miei cari o almeno non troppo: le cose sono andate come dovevano andare ma ciò non assolve il fatto che non siano andate granché bene. Come un pasto troppo abbondante carica l’organismo di veleni e ottunde la coscienza, così l’eccesso di spirituali rivelazioni tramortisce il sano impulso alla conoscenza, che nel caso di una scienza dello spirito è fatta soprattutto di approfondimento e mai di dispersione intellettuale.

La lettura a 360 gradi non è lesiva nell’approccio iniziale della ricerca, quando si vorrebbe sapere il più possibile. Saranno poi le stesse letture, come modificatrici dell’anima, a invitare lo studente ad esigere lo studio approfondito delle pietre d’angolo dell’edificio sapienziale. E’ l’anima che alla fine dovrebbe formulare l’assenso, riconoscendo la verità di quanto, a tutta prima, può parere solo asserito.

Quasi tutta la Scienza spirituale comunicata e ricomunicata risulta in un certo qual modo, falsa: poiché viene accolta supinamente, con fede cieca. E’ possibile che all’inizio la situazione sia diversa ma con la complicità dell’abitudine alla passività, si smette presto la fatica di pensare e si accoglie tutto: senza distinzione.

Così è roba di cartapesta che passa da anima ad anima, con la consapevolezza dell’istinto condizionato. Questa è la condizione primaria dei tanti che affermano a sé e al mondo di essere discepoli di qualcuno o della via sapienziale: esoteristi? Ma va là. Cani di Ivan Pavlov, piuttosto.

Tutto quello che non può, che non riesce a venir sperimentato è feccia. Il fatto che l’esperienza possa configurarsi in pensiero e non in misterica veggenza è cosa secondaria o incidentale. Un’obiezione in tal senso mostrerebbe solo che viene pure incompresa l’intima natura del pensiero. Con il pensiero logico e purificato si giunge ad una condizione di equivalenza con ciò che viene chiamato mondo eterico, e chi questo non l’ha capito non comprende il senso delle “comunicazioni” e non sa distinguere il vero dal falso. Come avviene ogni giorno per sostanziale rozzezza, tra i blablatori delle Scienze spirituali.

Quello che a nominarlo gli piglia il furore morale, tra le tante sciocchezze che scolpisce come fossero su pietra mosaica, afferma essere inconoscibile il grado interiore dell’altro. Questa, tra le tante affermazioni vuote o pasticciate, è falsissima: basta seguire l’origine di quanto sottende l’animus di una sola parola udita per avere davanti a sé un vasto panorama. Inoltre se un decente operatore è capace di immergersi nel silenzio interiore può, da tale condizione, persino “vedere” l’atmosfera animica ed i toni qualitativi di questa, emanati dalle persone che lo attorniano. Sono percezioni senza nome: spetta poi al pensiero intenderle, subito o dopo immersione meditativa. Il Nostro, che è ipovedente, ha la stupefacente pretesa di dar per scontato che altri siano almeno orbi.

E se ciò vi sembra strano ditemi allora con quale criterio sceglieste (la vostra anima scelse) di seguire Scaligero e non i molti Egemoni Cosmocrati che affollavano la piazza? Qualcuno risponderebbe di sicuro che fu atto karmico. Non dico che, in fondo, non sia stato così ma per il senso dell’attuale, individuale destità, obbietto: ma voi dove eravate con la vostra coscienza? Da Scaligero o al bar dello sport?

Una retta conoscenza conduce, prima o poi, alle rette discipline. E’ essenziale che, con anima sgombra, si pensino i pensieri nei quali l’Iniziato ha trasfuso l’esperienza sovrasensibile: allora i pensieri possono dare al sentimento una schiarita che si traduce in risveglio animico. Infiniti sono i risvegli, come fossero strati di una cipolla cosmica e già dopo il primo, il dio ti lascia a sbucciare da solo, e l’utensile che ti trovi tra le mani si chiama disciplina. Così continui oppure contempli la cipolla – dita incrociate a girarti i pollici – per il resto della tua vita. Anche questa è libertà, no?

Per non farla troppo lunga sulle tristi sorti dell’uomo davanti la cipolla, vorrei offrire al lettore qualcosa di costruttivo che funziona. Che non viene dall’antroposofia ma dalla galassia teosofica. Si tratta di un esercizio comunicato già negli anni ’30 da E. Wood in un libretto intitolato Concentrazione, poi ripreso in un nuovo testo ampliato e ambiziosamente arricchito dall’Autore, edito dall’Astrolabio nel ’68. Un amico lo riportò sulla Rivista L’Archetipo alcuni anni addietro. Che io sappia non incuriosì nessuno: ed è un vero peccato, poiché potrebbe aiutare chi ha serie difficoltà nell’approccio con l’immateriale. E’ possibile, con questo esercizio, avvertire subito la potenza della mente incentrata in se stessa. Preciso che la descrizione risulta complessa ma se compresa è di facile attuazione. Cercherò di liberare l’esercizio dalla ridondanza di quanto Wood si è sentito di aggiungere nella II edizione.

Preso un foglio di carta bianca e una matita, disegnate un cerchio nel mezzo. Nel cerchio scrivete il nome di un semplice oggetto che vi sia famigliare. Dedicate attenzione all’oggetto inscritto e lasciate che il pensiero sia libero di formulare da sé un concetto connesso (se, ad esempio, abbiamo scritto “vite” è probabile che la connessione sia “cacciavite” o una qualità dell’oggetto: in effetti è una libera associazione dal guinzaglio strettissimo). Tenendo il termine/ immagine “cacciavite” disegnate con la matita una riga o freccia che parta dalla circonferenza del cerchio ad un punto qualsiasi del foglio: lì scriverete “cacciavite”. Poi scivolate lungo la riga con la punta della matita fino al cerchio e, dimenticato il cacciavite, dirigete nuovamente l’attenzione alla vite. Lasciate nuovamente che il pensiero attui una nuova connessione che sorga in voi come, ad esempio, “acciaio”. Ora, tenendo l’”acciaio”, tirate con la matita una nuova riga dal cerchio ad un punto qualsiasi del foglio dove scriverete acciaio. Nuovamente scivolate con la matita dall’acciaio verso il cerchio e osservate nuovamente la vite. Permettete al pensiero una nuova connessione: potrà essere anche “mobile” poiché per voi il mobile è tenuto insieme dalle viti. Disegnate una terza freccia e scrivete “mobile”, poi, insieme alla matita, tornate al cerchio.

Se ora riuscite a scorgere il diagramma (un cerchietto con tanti raggi) capirete anche che è un continuo lasciar libero il pensiero per poi riportarlo sempre all’oggetto-tema. Questo esercizio di riporto va continuato per un certo tempo, con serietà, continuità e senza distrazione. Potete notare che nell’esercizio vi è una parte meccanica ma la sua riuscita dipende esclusivamente dalla costante attenzione immessa, che meccanica non è.

Esso attua, con le facilitazioni date dal sensibile descritto, un atteggiamento della volontà che realizza una atmosfera di concentrazione: come un essere avvolti in una nube di concentrato, forte e denso silenzio. Più all’interno di sé. Percepirete, forse anche dalla prima volta, la potenza del mentale concentrato in se stesso. Quello che ho detto non appartiene ai modo di dire: percepirete questa assorta concentrazione animica come si percepisce un tavolo: ma dentro. Realisticamente. Provate l’esercizio descritto per una settimana o meglio ancora, per un mese. Se l’attenzione supportata permane dedicata in questo prolungato riportare, avrete molti benefici: il realismo dell’esperienza conseguente l’esercizio, una mente addomesticata cioè silente e la capacità di fare una meditazione.

Se vi sentite antropo-ortodossi in conflitto morale, non fate niente di ciò che ho scritto, anche se è solo un esperimento, dimenticatelo e continuate le vostre chiacchierate. Così non correrete alcun rischio e potrete sempre continuare col vostro noiosissimo auspicare e aspirare ad una concezione spirituale che, in senso aristotelico, mai vorreste che fosse atto.

Approfitto di questa breve nota per rispondere alla domanda di un amico di Eco che vorrebbe un particolare punto di vista sulla via della fede.

Mio caro, ognuno ha la sua strada e non dovrebbe tradirla: dalla sua immagino che non occorra perdersi a distinguere tra fede e Fede. Sulla via data dal pensiero, che noi propugniamo, è quanto deve accadere con la concentrazione, non in quanto concentrazione in sé ma quando per suo tramite essa venga superata come “esercizio”, divenendo moto ulteriore orientato verso lo Spirito. Termini non bastano o non ci sono: è un andare oltre l’agonia, cioè si sperimentano gradi di agonia ma da lì basta un passo per superarli.

Così anche la Fede, da come ne parla, essa comporta esperienze non dissimili, poiché si tratta di volere oltre ogni percorso razionale, oltre la massiva rappresentazione della Materia, oltre ogni certezza acquisita precedentemente. Mica facile volere l’inimmaginabile, l’impossibile (ciò che per il mondo è inaudito). Per giungere ad una tensione sovrumana d’impeto della volontà e del sentimento che balzano oltre il saputo, il conosciuto. Titanismo che trascende se stesso per diventare Potenza di trasformazione della realtà.

Slancio sacrificale che tutto spezza tutto infrange.

Però mi permetta di trascrivere le ammonitrici parole di quella magnifica rompiscatole di Santa Teresa: “Proprio una bella maniera di cercare l’amore di Dio! Lo si desidera subito, in tutta la sua perfezione, e ognuno conserva le proprie tendenze. Non si compie sforzo alcuno per suscitare buoni desideri né per riuscire a sollevarli da terra, e poi si ha il coraggio di pretendere molte consolazioni spirituali! Ciò non può avvenire, e simili pigrizie sono incompatibili con l’amore perfetto. Quindi, se Dio non ci concede il tesoro interiore, ciò dipende solo dal fatto che noi non facciamo a Dio il dono assoluto di noi stessi” (Vita: I, 11).

Così, non me ne voglia, tanto per riflettere e gettar acqua sugli ardori suoi e miei.

Cari saluti.

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11 pensieri su “FUORI DAL CORO E ALTRO

  1. Isidoro grazie. Ho bisogno di una precisazione. Dici che il pensiero puro è una “condizione di equivalenza” con il mondo eterico. Non riesco a realizzare un’idea soddisfacente sulla base di questa categoria matematica, potresti precisare meglio?

  2. Mio caro, qui solo accenni:
    “Il vero viene in realtà percepito soltanto se si riesce ad afferrare i giudizi in modo da staccarli dal corpo fisico, DA STACCARE IL CORPO ETERICO DAL CORPO FISICO. Ricordatevi di come io abbia sempre sostenuto il punto di vista che ogni indagatore dello spirito deve sostenere: che proprio IL PURO PENSARE E’ LA PRIMA CHIAROVEGGENZA. Chi afferra un puro pensiero vede già chiaroveggentemente, perché il puro pensiero può venir afferrato SOLTANTO NEL CORPO ETERICO”.

    “…ognuno, con buona volontà e con spregiudicatezza, può afferrare i risultati che vengono portati giù come conoscenze, vale a dire IN CONCETTI E IN IDEE.”

    “…nel capire il mondo spirituale, l’investigatore si trova esattamente nella medesima condizione di coloro cui egli racconti le sue investigazioni”.

    Si forma, nella zona della sfera eterica un incontro tra il mondo sensibile e quello spirituale. Per potervi entrare nel giusto modo è comunque necessaria “l’assenza di egoismo quale atteggiamento conoscitivo”. In questo modo, idea e visione sono equipollenti. Ne segue che per l’eterico è sufficiente la rappresentazione concettuale per stare nella realtà.

    Questo ricordando che l’Iniziato adopera le NOSTRE forme conoscitive di pensiero come veste per le sue esperienze. In relazione a ciò deve essere soddisfatta una premessa: che si conoscano e si PADRONEGGINO le nostre forme di conoscenza, tali da essere idonee ad afferrare la realtà.

    I virgolettati sono del Dottore. Ma ripeto sempre che è questione di esperienza: se si penetra in Teosofia o Filosofia della Libertà in modo che davvero ogni concetto sorga dal precedente e poi ritorna nell’esperienza comune, può constatare da sé le due condizioni di coscienza.

    Cari saluti.

  3. E’ lo spicco individuale, che da piccole hanno anche le pecore! Che strana contraddizione.
    Lasciatemi considerare che tale guizzo di fiamma dell’IO a noi appare mirabilmente nei nostri due frombolieri, Isidoro e De’ Paganis. Eco è la scena in cui le due personalità tessono la loro azione senza mai urtarsi nè condizionarsi o minimamente massificarsi, senza gerarchizzarsi. Bensì sempre mostrando le variopinte qualità conquistate singolarmente nell’osmosi spirituale. Che bello spettacolo di fratellanza degli IO, che bella finestra sul mondo che verrà, l’universale colorato di individuale. Grazie ragazzi.

    • Gentilissimo signor Francesco Visciotti,

      veramente noi lupacci, sia etrusco-appenninici che carsico-tergestini, più che “mostrare le variopinte qualità conquistate singolarmente nell’osmosi spirituale”, siamo usi a mostrar, come dice il mio amato Dante, “le zanne e l’ugne arrotate”, specie contro estetizzanti e vuoti intellettualismi dialettici.

      In effetti, noi lupacci preferiamo ben “esser meglio delinquenti che borghesi” o, peggio ancora, intellettuali antroposofizzanti. Fossi in Lei, illustrissimo signor Visciotti, io non conterei granché sul fatto che selvaggi lupacci come noi, dal pessimo carattere peraltro, diano “bello spettacolo di fratellanza degli IO”, sia perché i lupi sono ferocissimi per natura, sia perché detestiamo gli “spettacoli” – che tanto garbano agli antroposofazzi” – come il fumo negli occhi, e la bava e il lezzo di cortigiani e adulatori. I quali faranno bene a stare attenti, oltre che a “zanne e ugne arrotate”, a non prendersi qualche frombolata in fronte…

      Se vi è tra noi una persona, sempre molto gentile e a modo, che meriterebbe ampi apprezzamenti e lodi, semmai è la nostra infaticabile, disponibile e competente Donna Savitri, ch’Ella evidentemente non sente il bisogno di rivolgerle mai i dovuti apprezzamenti, che a mio orsolupesco giudizio ampiamente merita.

      Hugo de’ Paganis, che ammonisce
      di non istuzzicar il lupo e l’orso
      se da lor non vuoi essere morso.

  4. Poffare, donna!!

    Certamente: agile, muscoloso e snello. Tanto che concorro per il Mister Bangladesk…

    …comunque pecora mannara sono! E mangio pure i lupi toscani di vecchio pelo…(niente nomi ma se capisci l’antifona…)

  5. Hugo, quello che dici mi dispiace. Ma soprattutto non lo capisco. Ad es.:adulatore io? A che scopo? Soldi? Favori per la mia carriera?
    Comunque io non uso una pubblica piattaforma telematica per scopi personali, quindi perdonami ma non posso risponderti, non in questo contesto.
    In quanto a Madame Savitri, io non ho ben capito il suo ruolo, ma se è quello di consentire a dei fuoriclasse di comunicare i propri contenuti, merita non un elogio ma un monumento.

    • Suvvia…….
      Credo che Hugo sia allergico a certi complimenti….o almeno a certe forme di essi.
      Quanto al potere di Hugo di favorire qualcuno nella sua carriera, o in qualsiasi carriera, mi viene da sogghignare……pero’ so che come amico e’ davvero persona straordinaria.

      Per cio’ che potrebbe inerire a miei eventuali meriti, purtroppo il mio tempo per dedicarmi al blog e’ ridotto all’essenziale, per cui non posso dedicarmi anche io allo scrivere direttamente come ho fatto, seppur non frequentemente, in passato nei forum, ma forse Hugo ti riferisci ad altro, forse alla mia velleita’ poetica, ma in questo sono abbastanza schiva, infatti faccio fatica a terminare la pubblicazione delle mie poesie nel blog.

      Per quanto riguarda il blog in se’, sappiamo esserci un amministratore sopra Savitri, e anche a considerarli insieme credo che, senza certi “fuoriclasse”, ivi compreso il riservato Daniel, nulla si potrebbe se non tenere in vita una pagina eternamente in “work progress”……..

  6. Un problema di comunicazione. Io non faccio complimenti, constato un fatto di rilevantissimo valore: in uno scenario mondiale nel quale le vecchie personalità (egoiche) stanno velocemente raggiungendo lo scontro finale, ammiro due nuovi esemplari di individualità che agiscono proprio come due lingue di fiamma, anche toccandosi ma senza mai urtarsi. Questo per me è un forte motivo di speranza nella realizzabilità di una società di vera fratellanza tra individui. Non preoccupatevi non era un complimento, è molto di più.

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