DEGRADAZIONE O REINTEGRAZIONE

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Il ricercatore delle vie spirituali, che poi un giorno – si spera – diviene operatore, cosa se ne fa dei nostri giorni, del mondo che gira intorno a lui?

Non occorre edificare qualcosa per dare corpo all’interrogativo, visto che all’esperienza di tutti appare piuttosto evidente il suo rovescio, ovvero cosa fa il mondo di noi. Poiché viviamo un tempo assai simile a quanto un chicco di riso senziente e cosciente potrebbe provare dentro una pentola a pressione.

In ogni tempo l’uomo ha dovuto soddisfare un quantum di doveri nella società e nella famiglia ma il poco o molto che rimaneva per lui era simile al silenzio che vige tra la nota precedente e quella successiva. Silenzio, pausa, vacanza che, assieme al sacro, è defluita dalla vita comune in cambio di seducenti sciocchezze indotte dall’industria culturale, alacre produttrice di miraggi non statici ma tesi a rodere quel poco di anima che è il nostro bagaglio naturale.

Ora il mondo sta divorando l’integrità interiore che ognuno portava in sé quasi sino alla metà del secolo scorso.

Detto ciò non si vuole rivangare i “bei tempi andati” che in realtà furono sovente duri ed impietosi. Osservo soltanto che essi non aggredivano la stabilità di una certa dignità che sempre appartenne all’umano. L’andare “avanti” significa, di solito, un ulteriore decadimento, una discesa verso gli inferi cioè sotto la desta coscienza dell’Io e della sana presenza dell’anima.

Ora all’uomo moderno vengono offerti prodotti a largo spettro: ogni gusto possibile purché si sia rinunciato al gusto, estrinsecazioni di vitalità purché si abbia abdicato alla vita, attivismi di ogni genere purché l’attività venga sacrificata.

Ad esempio, viene offerta l’intera gamma del soddisfacimento delle perversioni mentali. Si strilla nevroticamente nei confronti della incivile efferatezza della corrida mentre si gode alla vista filmica di sevizie, di massacri sul ring, di impietosi documentari di operazioni chirurgiche. Ciò è voyeurismo sadico.

Invece coloro che ambiscono la regressione di qua dell’Io possono affidarsi a partite (di calcio) dove il gioco di squadra e la collettiva simulazione della passione sostituiscono l’emozione comunitaria e l’esistenza personale in un circoscritto ambiente di studiato squallore.

Un buon training all’isteria è procurato dal settore rosa della (si fa per dire) letteratura, dal gossip dei rotocalchi, dagli eroi tesi e contraffatti di quasi tutti i film. Alla regressione alla schizofrenia, provvedono i giochi stupidi, come il contare a ritroso, i giochi intelligenti delle parole incrociate e, in genere l’assuefazione allucinatoria di sequenze cinematografiche.

Tutte le malattie hanno il loro banco di smercio.

Credete stia esagerando? Allora trovatemi un individuo equilibrato: con tutti i suoi difetti e le sue qualità esso, seppure raro, porta una distinzione avvertibile: pare un santo senza estasi.

Tanti si illudono di essere fuori dal giro perché scelgono prodotti alternativi o spregiano la letteratura popolare, oppure amano solo il jazz freddo col suo sinuoso invito alla demenza e spregiano le smancerie: nessuno consuma tutti i prodotti e le opzioni tra i banchi danno una sufficiente illusione della libera scelta, mentre la servitù è il trovarsi dentro questo immenso magazzino in cui ogni scelta è già coatta.

Pure il magazzino culturale offre ogni possibile apparenza: basta rinunciare ad ogni sostanza, alla nozione di reale e di falso. Così si sente almeno il bisogno dell’informazione cronachistica: il susseguirsi di accavallati accadimenti vuoti di significato.

L’uomo queste cose le sente ma non sa di sentirle. Simile a chi si assoggetta alla droga, egli ottunde ciò che sentirebbe se non chiudesse porta e finestre con l’aiuto di una dose ulteriore. Cosa rischia di sentire? Un dolore intenso e totale. Da cosa dipenderebbe, in ultima analisi, ciò che chiamo dolore? Rispondo con una sintetica frase di Adorno: “Essere dalla parte della propria degradazione”. E’ un’ottima intuizione, ma capita sempre che le cose grandi sembrino piccine o di poco conto.

Le doppiezze segrete che si usano come rifiuto del degrado sono quasi innumerevoli. Ad esempio si può fingere di agire per umiltà, ma l’umiltà consapevole di sé non è, non esiste vera. Si può fingere di ricavare significati eternamente umani nella obliqua contemplazione dello spettacolo dell’abiezione, ma sostanzialmente traendo da questo il gaudio per la propria immagine.

A questo proposito ricordo come una metà dei giovani che ascoltavano Scaligero negli incontri settimanali sentiva l’anima alleggerirsi quando l’oratore spendeva qualche battuta umoristica verso una domanda troppo ingenua o mal posta. Ad una parvenza di crocifissione altrui ecco il sentirsi più bravi, intelligenti. Ma la stessa presenza di Scaligero spegneva subito questa tendenza. Poi ai giovani molto può anzi deve essere perdonato.

Tornando ai bottegoni delle meraviglie, all’industria dell’inganno, dove non c’è oggetto che non puzzi del lezzo del Caprone (leggete Cose preziose di S. King dove la paccottiglia infima vale diabolicamente al massimo grado), c’è un sofisma che difende il sonno di chi vi è del tutto inserito ed impedisce a qualcuno che potrebbe uscirne, di destarsi: si stima che nelle artefatte arti di massa si manifesti la sostanza e la vitalità del tempo.

E’ il tempo dell’amore per il cibo guasto. Il sofisma su cui poggia il vizio è l’identificazione del popolare con il prodotto di grande consumo, così il fascino del circo equestre è diventato seduzione della letteratura industriale, del cinematografo, della televisione e della navigazione elettronica. Da questi, attraverso travestimenti poco avvertiti, sventolano i valori oscuri del tempo.

I fautori della tradizione, per carattere e cultura, hanno compreso tutto ciò ma mancano di risposte vive: chi rimanda ad “organismi tradizionali” che hanno perduto la metànoia necessaria, chi invita a “cavalcare la tigre” senza fornire sella e redini agli aspiranti cavalieri.

Solo la tradizione vivente può offrire la possibilità di formare, dentro sé, un centro permanente di forza talmente concreto da poter attraversare senza danno la demonia che pervasivamente infuria senza tregua, persino respirandone la tossicità sino a trasmutarla in una continua occasione di rettificarla per il bene del mondo e per la salute dell’anima.

Ho chiamato vivente quella tradizione che sa suscitare nell’anima, come intimo ricordo l’essere dell’uomo e della stessa Creazione: ricordo, non rappresentazione culturale. Possibilità che sorge come potere del pensare-sentire-volere se questo riesce ad animarsi oltre la barriera del personale.

Possibilità che può prendere partenza dallo studio di Teosofia e Scienza Occulta qualora si intenda un percorso immediato, cioè mediato dal pensiero puro. Nella natura di queste righe per “pensiero puro” intendo soltanto un pensiero agile, attento e purificato da qualsivoglia invadenza personale: un pensare attivo per intima forza propria, già svincolantesi dal sistema nervoso. Infatti il suo svincolato scaturire ha spazio in una condizione non ordinaria di quiete.

Qui non parlo di ciò che il Trattato del Pensiero Vivente indica magistralmente: l’aprirsi nell’umano alla possanza adamantina dello Spirito, ma solo del minimo essenziale per quello che rosicrucianamente si indica come “studio” e che dalla qualità dello studio potrebbe generarsi purché si diventi capaci di estrarre immagine quasi da ogni singola parola.

Dunque solo un pensiero purificato e sostenuto da un amore per la verità che abbia la forza di una passione sovrumana. La necessità di concentrazione e meditazione potrebbe sorgere organicamente, come un forte invito di saggezza sorgente dai frutti vivi dello studio.

Allora, come i primi raggi del sole danno luce, così l’alba della luce interiore offre salda pienezza all’esistenza: con essa una vasta gratitudine, bene espressa da Goethe: “Essere sublime, tu mi dai tutto ciò che avevo chiesto”. E’ l’inizio di una immensa avventura.

5 pensieri su “DEGRADAZIONE O REINTEGRAZIONE

  1. Spero di non crucciare troppi lettori se qualche volta NON parlo di Concentrazione, di cui rimango propugnatore in assoluto. E’ solo che toccando un campo che, per la vita interiore di ciascuno si presenta fluido e fortemente individualizzato, non si può non tenere conto di esigenze, possibilità e capacità assai diversificate. Lo stesso avvicinarsi, nella vita, alla Scienza dello Spirito da cosa è determinato? Non dalla ragione e da processi logici ma da uno strano percorso di cui, nella veglia, il proprio sentimento dell’Io non ne sa nulla. Solo poi – e giustamente – interviene la ragione ed il sentimento e solo dopo si raggiunge qualcosa che possiamo chiamare “desta persuasione” verso una via che indica come le barriere della conoscenza di sé e del mondo possono venire superate. La via alla conoscenza è sana e non è affatto “pericolosa”. Pericolosi sono gli arresti e le devianze: che non appartengono alla via ma alle nostre miserie e debolezze. Qui ho voluto indicare qualcosa, la trasformazione in immagini di frasi e concetti derivati dall’esperienza spirituale del Maestro. Per qualcuno può essere un notevole lavoro intermedio. Nemmeno ciò è “facile”. In un epoca in cui fa da padrone il pensiero astratto, ciò inizia come un faticosissimo lavoro e solo poi se ne diventa capaci. Come osservano TUTTI gli Iniziati, le immagini contengono molto più degli ordinari pensieri e possiedono la virtù propria di sfondare il muro cerebrale. La forza che c’è in esse scende nel sentire e nel volere. Stimola il conoscere sovra razionale che è celato nella parte sconosciuta dell’anima. Io non credo molto a chi dice che per lui questo immaginare è impossibile. Fermo restando che non sto parlando di fotografie interiori, si tratta di solito di una facoltà non utilizzata che, come un arto fasciato da troppo tempo, è paralizzata dal disuso.

    • Salve isidoro.
      Questo tipo di immagine che non è l’immagine consueta, non è nemmeno il suo concetto?
      Ha a che fare con la concentrazione assoluta, libera di elementi sensibili?

  2. Queste immagini – che inizialmente evochiamo a fatica – contengono tutto, concetto compreso, con una progressiva sempre maggiore vivacità, possiedono, andando avanti, autonomia e forza: si giunge a sperimentarle come ZAMPILLANTI dal centro di noi stessi in una condizione di aumentata lucidità. Vi sono persone che possiedono naturalmente tutto ciò, ma è raro. Il fondamento però deve essere l’attenzione intensa all’articolarsi dei pensieri riguardanti lo spirituale. Si potrebbe dire che la fantasia comune, nemica della logica è anche nemica della lettura per immagini.
    Su cosa può CONCENTRARSI l’operatore senza un oggetto verso cui convergere? Forse nemmeno padreterno…In concreto: occorre tanto o tantissimo tempo o l’intera vita per liberarsi da “elementi sensibili” Nelle meditazioni date dalla Scienza spirituale, l’elemento di libertà dal sensibile (riprodotto) è, come per la rosacroce, l’arbitrarietà dell’immagine (nella realtà da una croce di legno bruciato NON fioriscono rose rosse). Persino, come scrisse un amico, una frase come “La luna è di formaggio” potrebbe andar bene.
    Comunque il pensiero non è sensibile e pensare un qualunque pensiero è un atto che inizia ad essere fuori dal sensibile. Poi però doveremmo distinguere un pensiero qualunque da un pensiero voluto e questo ,per la coscienza ordinaria, è già tutta un’altra storia.

  3. Beh, incominciamo dal Dottore che scrisse come fosse meglio essere pedanti che fantasiosi (e per Lui il termine “pedante” era una parolaccia bella e buona). Il fantasticare è pessimo: un sottomettersi ad un flusso semi sognante durante la veglia. Si potrebbe semplicemente parlare di un “al di qua” e di un “al di là”: fantasticare e immaginare sono: il primo al di qua mentre l’immaginare è al di là. Sono all’opposto. Faccio un esempio: il libro Teosofia inizia con una osservazione di Goethe sulla TRIPLICE esperienza che ogni uomo può fare attraversando un campo fiorito. Allora: le righe vanno lette con la massima attenzione. Vanno comprese parola per parola.Solo poi ci si può immaginare in un campo, starci dentro e realizzare ciò che è del tutto naturale ma mai portato a consapevolezza, ossia che PERCEPIAMO l’erba, i fiori, ecc. Che VEDIAMO tutte queste cose. Ecco che col nostro immaginare (attivo) afferriamo qualcosa, ci “accorgiamo” di qualcosa che non è più così istintiva e banale come lo è di solito perché relegata all’ovvietà nelle zone crepuscolari della coscienza. Poi torniamo in quel campo e, guardandoci attorno, portiamo l’attenzione su ciò che sentiamo IN NOI del verde dell’erba, dei fiori sparsi o magari (siamo alla soglia dell’autunno) del mutato colore delle foglie…
    Questa è una attività che va oltre la semplice lettura, verso la quale alcuni si accostano con una devozione che è bella cosa ma serve assai poco.
    Quello che serve è dare vita alle potenze dell’anima, renderle attive: l’immaginare disciplinato ha la forza di realizzare tutto questo.

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