CATASTROFI

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Un nostro amico e lettore (F. A.) ha scritto le righe che leggete qui sotto. Gli ho chiesto il permesso di pubblicarle anche su Eco. Mi sembrano un forte grido dell’anima: perciò più vere di molte altre cose.

 


In catastrofi come queste dei terremoti resto ammutolito dal mistero che si manifesta. Mistero perché c’è qualcosa di incomprensibile in fatti come questo: la ragione non riesce a cogliere un senso che sente esserci ma non sa decifrare in chiari pensieri.

E tutti i pensieri con i quali mi do contezza dell’accaduto, tipo le spiegazioni scientifiche, e tutte le problematiche relative – come il fatto che le comunicazioni non ci sono state o sono impossibili ecc. – giuste e necessarie, sacrosante , non mi danno però la sensazione di essere al cuore del fenomeno, al suo senso o causa: alla sua essenza!

Forse dovremmo cambiare metodo e chiederci al posto del perché, come faceva Goethe, il come. Ma anche questo non credo sarebbe sufficiente qui! È così grande il mistero che mi viene incontro, che sembra impossibile anche solo inquadrarlo. Non comprenderlo ma anche solo tipicizzarlo.

Ed è sempre così quando ciò che chiamo vita e ciò che chiamo morte, al di là delle vuote parole, si manifesta visibile e con simile potenza. Anche trascurando il senso della natura e la sua aseità, il senso del mondo che mi attornia, dell’universo nel quale sono posto, qui, la vita e la morte dell’uomo è così forte, che abbaglia la mia ragione…

E più lontana da me è questa morte, meno ne sono coinvolto (non sono parenti, amici e conoscenti, non sono io! ) più mi è chiaro che la mia ragione incontra il mistero. Perché quando sono io che sto morendo, o vedo morire una persona amata o un amico, il mio sentire, i miei sentimenti sono al massimo della loro intensità, ed in qualche modo vivo assieme al mistero la sua realtà, vivo fuso con essa e in qualche modo sento la sua essenza, la vivo anch’io, ed è talmente intensa che non riesco nemmeno a ricordarla quando è passata (come l’amore…): quando è passata la sento come sento un sogno che ho sognato, qualcosa del passato che ha lasciato una traccia nel presente della mia persona, della mia memoria, tenue di fronte al massiccio mondo del presente, ma indelebile.

Questo mistero che grida la sua presenza è il senso della vita umana. Ed è un passo, solamente un passo, di ovvietà, di ragionevolezza, che compio per relazionare questa catastrofe indicibile con la mia vita personale. La quale mi chiede di avere un senso anch’essa. Di essere collocata in qualche modo armonicamente all’interno di questo universo e di dare un senso anche alla mia comparsa ed poi alla mia futura scomparsa. E qui non so più cosa pensare, il pensiero quotidiano non ce la fa! Ognuno, a questo punto, fa i propri calcoli e va nella propria direzione: religiosa o ideologica, filosofica o di oblio.

Ma resta il mistero che grida la sua presenza. Finché l’anestetico del tempo non prende il sopravvento.
Fino al suo prossimo apparire.

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