IL PING PONG DELL’ANIMA

Risultato immagini per cenerentola che pulisce casa

Cari amici,

se non vi dispiace, mi permetto di guardare da vicino uno tra gli aspetti tormentosi che accompagnano l’operatore interiore nella sua giornaliera vicenda d’asceta.

Una situazione che purtroppo può accompagnarlo per tempi lunghi e può ripresentarsi in qualunque momento in cui la dedizione profonda o, semplicemente, l’attenzione assoluta cede per un’infinità di fattori.

Chi si è già, in qualche modo, impratichito con l’esercizio della concentrazione – vale per tutte le discipline: tutte implicando la concentrazione – osserva a proprio scorno che essa viene quasi continuamente interrotta da un fenomeno che sembra addirittura legato ad una forma di necessità umana: ha un carattere che appare precipuo alla nostra natura.

Badate che non alludo alle interruzioni, come dire, grossolane, come quelle la cui causa è esterna e nemmeno a quelle interiori come i ben conosciuti “pensieri estranei” o il dialogo sottotraccia che potrebbe continuare (continua) anche quando la parte superiore della coscienza percorre il sentiero dei pensieri chiaramente voluti.

Infatti, come con una radio di poca qualità, molti e per molto tempo nemmeno si avvedono che permane sullo sfondo un brusio continuo. Anche per questo ho più volte rimarcato come vi siano gradi di silenzio, ben oltre una forma generica di silenzio mentale. In tale senso vi sono “silenzi” così diversi che potremmo usare per essi la parola: stati. Condizioni o stati di silenzio parenti forse, ma non fratelli.

E’ giustificato dal retto sforzo non disperdere l’attenzione su tutte queste cose, anzi è il segreto semplice per superarle: polarizzare la coscienza cosciente solo sull’immagine o il tema o qualsiasi cosa possa essere, a patto che sia pensiero afferrato e costantemente voluto.

Come ha vigorosamente sottolineato un lettore piuttosto esperto, non si pone problema su cosa l’attenzione si concentra: non occorre che sia un’immagine fedelmente riprodotta o un tema razionale (è forse razionale pensare che “ogni pietra ha la sua folgore”?). In effetti, l’oggetto di pensiero deve possedere due sole caratteristiche: a) che sia pensiero e non una sua impronta psicofisica, b) che sia la scusa per il risveglio di una volontà sconosciuta.

Chi sperimenta questa volontà sperimenta immediatamente il “più che sentire” ed il “più che pensare” e sa che ciò che l’uomo, seppure spiritualista tiene in gran conto, è una gran massa di sciocchezze o per dirla più finemente, è un tessuto di maya, possedendo anch’essa vari gradini di potenza.

Un intermezzo: sento un fastidioso fischio alle orecchie che mi conduce a dirette o indirette critiche perché viene sempre posto in prima linea il pensiero e la volontà, quasi impedendo che la povera Cenerentola-sentire vada al ballo del Principe.

Mi chiedo: si legge quello che è stato scritto e ripetuto alla nausea?

Il sentire racchiude la più alta forma di conoscenza e percezione interiore. Il comune sentimento no. Esso è piuttosto la baldracca che vive rapinando l’anima nostra.

E’ assai facile estrarre qualche riga da 18 volumi e 6.000 conferenze del Dottore per affermare il contrario.

Possiamo controllare in diretta come stanno le cose: se, con silente coscienza e senza pregiudiziali osserviamo il sentire, vediamo subito che questo si raccoglie nella sfera toracica, dove è sempre tessuto insieme ad attività corporee.

Già questa mistione oppone la sua natura allo spirituale che principia nell’entità umana in ciò che si manifesta come attività pensante cosciente: è il suo minimo livello. Sotto il quale si agitano ed agiscono le forze della natura, cioè quanto di minerale, vegetale e animale l’uomo reca in sé.

L’ordinario sentimento è assolutamente passivo: viene colpito dagli eventi (esteriori o interiori) e indebitamente scarica sull’io troppo debole piacere e dispiacere, brame inappagate o godute.

L’ordinario sentimento vive nel crepuscolo del sogno: è purtroppo del tutto “normale” che l’anima che rifugge il risveglio preferisca riferirsi alla comodità della coscienza sognante: così essa “sente” eternamente solo se stessa: la destità comporta oneri pesanti che, detto senza critica, non sono poi tanti in vena di sopportare.

Il sentire potrebbe essere una via diretta?: teoricamente sì, ma si dovrebbe parlare di un sentire talmente intenso e attivo da contenere un elemento sovraindividuale che, in genere, ha cessato da tempo di fluire nell’uomo moderno.

Il sentire può essere educato senza il passaggio per la forca caudina della liberazione del pensiero? Anche questo è possibile se venisse educato fino a divenire una struttura unitaria di devozione e venerazione, cioè del tutto “religioso” e anche in questo caso sarebbe facile e realmente pericoloso uno sbilanciamento della coscienza se solo troppo incline verso tale direzione.

Se a qualcuno interessa il “piacere dello spirituale”, può trovarlo da ogni parte. In rete vi sono diverse realtà che appagano tale inclinazione.

So per certo che molti lettori (lettori!) di Eco leggono, appunto, il nostro sito proprio perché non segue quell’andazzo. Qualcuno mi ha persino telefonato perché veggentemente preoccupato che non accadano cose simili. Se Eco perdesse la sua fisionomia si inabisserebbe nel mare magnum dell’insignificanza. Chi lo desidera, prenda tutti i placebo che vuole in altri lidi.

Ora ritorno al filo dell’argomento: si parlava di interruzioni, le quali come si sa, recano danno all’opera dell’asceta meditante.

Con l’insistenza, la pratica e la santa pazienza, queste vengono cacciate o lasciate indietro…ma ne rimane una che è forse la più difficile a essere superata e vinta.

E’ il potente magnete della corporeità: l’operatore si lancia nella inusuale sfera dove il pensare contempla il pensiero, cioè dove tutta l’attività è “solo” pensiero.

Condizionati come siamo dal nostro abituale essere “corpi pensanti”, il mondo in cui il pensiero pensa il pensiero è un ambito alieno, come lo è il mondo acqueo di profondità per colui che si immerge. Questo è un paragone che regge: succede che ci manca l’aria e si sale.

Così per il meditante che brama, dopo poco, di sentirsi nella corporeità.

E inizia l’andirivieni tra pensiero indipendente e il senso corporeo: ci si autopalleggia un po’ qua e un po’ là.

Superare questa situazione chiede qualcosa di più dell’esercizio corretto: occorre osare uno slancio, una dedizione che superi davvero quello che, con troppa facilità, chiamiamo limiti personali.

Ed è anche l’esoterica prova del nove. Prima di questo superamento potremmo anche essere bravi e buoni ma saremmo solo il meglio della nostra natura.

E’ il momento espresso bene dal latino: Sic nos, non nobis. COSI’ FACCIAMO MA NON PER NOI STESSI.

E’ straordinariamente vero ciò che Scaligero dice spesso, ossia che occorre la forza più forte:

essa appartiene ancora alla persona, eppure senza la massima forza sarebbe impossibile anche solo tentare lo svincolamento dalle categorie corporee: occorre che un soggetto venga lasciato e un soggetto non si arresti nell’opera: una operazione desta, chirurgica, totale: una lotta di vita che non vuole morire contro il cristallino canone di ciò che nell’umano è più che umano.

Una guerra che si svolge nella quiete.

Volgersi indietro è la salina, infeconda sorte della femmina di Lot, andare avanti è perdere l’esistenza per essere l’essenza che del “me” non ha alcun bisogno.

Ora le operazioni ulteriori giustificano se stesse secondo lo Spirito…ed il resto solo appare per quanto era sempre stato: per l’appunto, appare.

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