MANCO FOSSI RASTIGNAC!

 mani tre

Che l’organismo societario dell’antroposofia fosse da molto tempo gravemente ammalato, eravamo in molti a saperlo e poiché non giovanissimi, da tantissimi lustri. Ebbi la discutibile fortuna di veder sparire figure che furono discepoli diretti del Dottore: gente che comprendeva benissimo cosa fosse il metodo d’osservazione goethiano e come l’antroposofia fosse, in un certo senso, il suo fiorire oltre ogni limite.

Alcune di queste figure, data la venerabile età, erano davvero pervase e sostenute dallo Spirito ed era impressionante osservare la luce/fiamma che, oltre gli umani giorni, dava loro un senso di giovinezza perenne che i numerosi sodali più giovani, diciamo sessantenni, non possedevano. Conoscenza ed entusiasmo fluivano da essi come da una sorgente feconda.

Come ho detto, discepoli del Dottore, avevano conosciuto Dunlop, Meebold, Unger, Stein, Emmichoven, il giovane Pavisi, Bauer, Rittelmeyer, ecc. Cioè persone che avevano sviluppato gradi o alti gradi di “veggenza”.

Non parlerò di Colazza e Scaligero, essendo questi ultimi volutamente impercepiti dalla faziosa cecità animica invalsa tra la maggior parte dei membri della Società nel nostro Paese. Ed il fatto conclamato che Colazza fosse un importante discepolo di Steiner, non sposta di un millimetro la muraglia di contenimento formatasi intorno all’ammalato per non far entrare il medico: quasi nessuno, tra i soci, si è posto su ciò uno spazio di riflessione minimamente intelligenteautonomo e spregiudicato!

Nei decenni successivi, quelle che possiamo chiamare seconda e terza generazione, portarono avanti la forma acquisita mantenendo un certo equilibrio tra conoscenza acquisita e rispetto e devozione, però sempre più vuote di sostanza interiore: questo con la pessima influenza che provenne dallo stesso Edificio di Dornach per lungo tempo.

Così iniziò la diaspora degli spiriti (umani) più liberi o semplicemente indipendenti dagli spiriti (arimanici) del tempo, sotto le cui grinfie l’Organizzazione era caduta come le altre associazioni mondane. Aggiungo a ciò il fatto che il mio primo mentore era pure lui “veggente”. Come lo era stato il suo maestro, amico di Marie Steiner. Venni a conoscere la cosa solo dopo anni di lavoro con lui. Dai non pochi occultisti della mia città era l’unico antroposofo che fosse rispettato: mai stato tesserato.

Ora la stanza dell’ammalato (che a mio parere è spirato da tempo) si è trasformata in un sūq arabo o bāzār persiano dove ognuno tratta le sue più fantasiose merci e patacche.

Cose che l’incauto turista porta in occidente dove può apparire splendida ogni cianfrusaglia che odori di esotico.

Nel senso di queste righe è apparso sul web un interessante articoletto, tratto dalla Rivista Antroposofia, intitolato “Perché non siamo chiaroveggenti”. Se questa fosse una domanda (e non un titolo), la risposta potrebbe essere: ilare, tagliente e breve.

D’altro canto, perdere tempo a confutare ogni singola riga dello scritto è un lavoro noioso e quasi inutile; piaceva molto al gospodin Prokof’ev, a me no.

Poi se uno scritto parte da una rappresentazione impiccata per il collo qual’è “La critica più ricorrente che viene fatta all’Antroposofia è che nessuno degli antroposofi è mai diventato chiaroveggente.”, che rispondere a tale cretinata?

Ma questo chi l’ha mai detto a ‘sto benedetto uomo? Forse ha letto di Evola “Maschera e volto…” ma già in tale caso ha letto male oppure ha trasferito ciò che avrebbe desiderato che fosse scritto e forse dà per scontato che chi percorre la Via interiore venga a comunicarglielo. A lui o al mondo. Ciò è proprio quello che non succede e il Dottore ne parla con accento drammatico nelle prime pagine di “Iniziazione”.

Per tutti gli dei inferi! Vi esibite da antroposofi e non avete letto con un briciolo d’attenzione i pochi libri canonici…bene, passiamo ad altro.

Oggi è diffuso l’equivoco che la chiaroveggenza parta dal pensiero o da qualcosa di affine”. Mi pare un’opinione giustificata poiché i pensieri del Nostro, che buttano nel pozzo non soltanto l’Opera del (anche) suo Maestro, sembrano da lui pensati – a mio parere senza equivoci – per negare la sua propria esistenza come essere umano poiché senza l’inutile pensiero egli sarebbe il primo caso di anello di congiunzione tra il mondo minerale e quello vegetale. Evidentemente indeciso tra la demenza e la supercoscienza, egli ritiene del tutto inutile l’organo con cui è capace di consapevolezza di sé e del mondo, antroposofia compresa, anzi, nel suo caso incompresa.

La parte finale della frase riportata, la quale riassume gli inutili strafalcioni successivi, è quasi sfiziosa poiché ho potuto apprendere (diceva Manzi: “non è mai troppo tardi”) che esistono “cose” affini al pensiero. Ma il riserbo su ciò è stretto. Mi chiedo se non sia affinità con il grana padano o gli acufeni…oppure con l’umor vitreo, poiché siamo sul plurale e gli occhi sono – Polifemo a parte – due.

Ma ora sono io che scrivo a vuoto ed è inutile pensarci su poiché il nostro eroe, più in là decide che “Il pensiero ha perso definitivamente la sua forza conoscitiva”. Allora, mi chiedo, quale potrà essere l’organo e l’attività con cui il Nostro vive nel mondo, lavora, comprende? Io una risposta c’è l’ho sulla punta della lingua ma suppongo che Eco non accetti il turpiloquio, anche quando sia santificato dalla trasparenza del vero.

Bisogna dargli atto che su ciò egli non ha reticenze: tutte queste cose lui le fa con le mani (qui i quadrumani ne escono favoriti: vedasi, di Pierre Boulle, La planète des singes.) e perché non si sospetti una mia manipolazione, riporto un periodo più articolato: “Ora la via della conoscenza parte dalle mani: non possiamo più parlare di chiaroveggenza del pensare, ma di chiaroveggenza del volere. Sotto questo aspetto la visione antroposofica del mondo è fluita in centinaia di opere in tutto il mondo, nelle scuole, negli ospedali, nei centri artistici”. Per affermare questa sgangheratezza logica, dagli antichi babilonesi egli passa alle epoche stellari sino ai Pesci, in cui: “…l’energia (sic) conoscitiva è fluita dalla testa alle mani”.

Devo continuare? Mette in un pentolone “Steiner ai giovani”, volontà, cuore e calore e termina come fan tutti, poiché il conformismo è di assai facile apprendimento: “E’ dunque dall’elemento del cuore, del calore della volontà, che dobbiamo riconquistare la forza della conoscenza. Ciò che di spirituale agisce e tesse nel mondo, rimarrà sempre invisibile ai nostri sensi fisici se noi non saremo capaci di riconquistare questo rapporto con il calore”.

Già! Senza alcun dubbio qui avrebbe ragione da vendere se scrivesse che lo spirituale (pensato sempre fuori di sé, nel mondo) rimarrà sempre invisibile ai sensi fisici. Sarebbe lapalissiano ma almeno non demenziale.

Sono più di cinquant’anni che sento o leggo simili farneticazioni, la pazienza è affar mio ma il messaggio che questi generi di pattume lanciano, affossa sempre le coscienze deboli e incerte, le allontana dalla minima presa di contatto con le basi ed il fondamento dell’antroposofia. Non ditemi che tra questa e le altre innumerevoli fregnacce non ci sia un oscuro filo ad unirle: portano sempre verso un messaggio univoco!

E’ tristissimo che simili righe provengano dalla Rivista riconosciuta (a torto) come autorevole manifestazione della conoscenza antroposofica come in effetti lo fu nel II dopoguerra.

Continuo ad essere un tontolone poiché resto ancora colpito dal fatto che il distinto discepolo, trovandosi a distanza di gomito da tali lordure, mentre pone altari alle nobili parole di uno scrittore per ragazzi, rimanga coerentemente più fedele alla sua politica d’immagine che alla luce del vero, così da non saper o non voler raddrizzare – magari qualche volta – il timone dalle derive dei più vistosi sbandamenti. Già, di notte tra gatti e ratti che differenza c’è?

In effetti, l’autore dell’articolo in questione (ed il suo fiducioso accolito), come succede sempre, è stato timido, un po’ chierico: non ha portato la sua analisi alla radice del conoscere. Fermandosi alle mani non è riuscito a raggiungere il piano pelvico su cui poggiano le parti anatomiche maggiormente sature di energie… conoscitive e ricreative.

15 pensieri su “MANCO FOSSI RASTIGNAC!

  1. Gentile Savitri,
    ti svelo un segreto: Rasti non fu, come scrisse per insulsa assonanza un irritato divulgatore di antroqualcosa, un piumato avversario di Richelieu! No, la sapienza dell’Esimio si arrese davanti a Balzac col suo Eugène de Rastignac e anche a Philip Farmer con il personaggio di Rastignac the Devil…che nella traduzione italica divenne Rastignac il Maligno: e fu da quest’ultimo che Rasti trovò nome e conforto.
    Ora il Nostro è un’impalpabile soffio di vento, avvertibile all’udito fine: lo conobbi e con riconoscenza ascolto volentieri i suoi lievi suggerimenti.
    Fossi lui, starei notte e giorno a fracassare le inutili teste di molti: cosa che nessuna corrente spirituale ha mai vietato ma anzi talvolta premiato.

    Una cosa su cui non mi sono occupato è la rappresentazione di chiaroveggenza che turba così tanto l’autore del pasticcio su cui blandamente mi sono soffermato: fai una sintesi del suo scritto, poi accosta ad esso il concetto di chiaroveggenza e fai silenzio: così vedi, quasi gratuitamente, cosa può intendersi quando si dice “demoni”.
    Roba di poco conto…ma come sempre la percezione corregge la rappresentazione… mentre gli scemotti direbbero che sono solo parole.

    La scherzosità del mio tono è funzionale proprio per questo.

    Tuo Isidoro 🙂

  2. Il passato e il presente dell’antroposofia sono a disposizione dello studio storiografico, palese ed occulto. Ma mi chiedo come sarà il futuro del Maestro che ha portato nel mondo l’antroposofia? In che forma l’antroposofia verrà riportata a noi contemporanei dal suo Curatore e veicolo designato? Non è questo un problema di riconoscimento che si pone a noi tutti attualmente incarnati, ad ormai più di un secolo dall’azione dell’individualità che anagraficamente abbiamo conosciuto come Rudolf Steiner? E’ ipotizzabile che si debba ripartire da quell’affermazione riportataci da Hugo: “Debbo io ritirarmi e fondare un ordine di pochi discepoli ?”

  3. Caro Francesco, forse anche peggio. Un amico (vero) di Steiner, tra le poche cose gli sfuggirono poi, raccontò che un giorno il Dottore, con gli occhi rivolti all’Edificio che già stava venendo riedificato, mormorasse una frase tremenda: “Forse un giorno dovrò combattere tutto questo”.

    Tutti parlano di uno Steiner “scienziato e santo” ma sembra che nessuno colga il lato prometeico del suo essere: costruire un edificio iniziatico ai giorni nostri era un rischio assoluto. Rifondare la Società (che non era stata all’altezza di quanto lo Spirito richiedeva) non fu nemmeno un rischio ma una lucida follia. Basta leggere il Testo che riguarda la Fondazione del ’23…e quasi nessuno capì: balza dal testo e non dalla mia testa!
    Insomma, dal 1900 in poi Steiner corse davvero sul filo del rasoio, puntando vita e destino sulla fiducia nell’uomo.
    Accanto ai pochissimi ci furono i molti. Non credo mancasse devozione, credo invece che mancasse destità. Un esempio? Al termine delle lezione esoteriche della Classe ci fu chi dimenticò nella stanza il proprio quaderno con i mantra trascritti. Sembra inezia ma non lo è affatto (infatti in questi casi il Dottore espulse immediatamente il “disattento”).
    Non credo sia nostro lavoro il “riconoscere”: già pochi anni dopo la scomparsa, i farabutti di ogni genere additavano bambini come reincarnazioni del Maestro e successivamente medianazzi d’ogni tipo hanno vantato la sua identità. Mi risulta che la cosa continui anche ora.

    La Tradizione vera è sempre UNA e ci sembra banale la vecchia frase “Quando il discepolo è pronto il Maestro appare” ma credo invece che indichi una legge spirituale che varrà lungo tutto il ciclo terrestre. Guarda che Steiner fu più duro: durante una lezione della Scuola Esoterica, forse rispondendo ad una domanda, egli disse: “I Maestri Occulti esistono, ma che senso hanno quando voi non ESISTETE ANCORA?”.

    Il momento nostro è assai duro: fare ciò che ci è possibile mi pare già tanto: come stanno andando le cose, tenere la posizione, non arretrare è probabilmente e realisticamente, il nostro massimo.

    Non per essere “veggenti”, tanto meno per essere ammirati o lodati ma per rafforzare e dare integrità alla nostra anima, dignità interiore alla nostra umanità.

  4. Carissimo Isidoro,
    ogni volta devo vieppiù stupirmi del tuo stupore, financo del tuo candore, per come tu non ti capaciti del fatto, che se ci si trovi talvolta di fronte a pura malafede – come nel caso di coloro che per decenni gettarono palate di letame sulle figure spirituali di Giovanni Colazza e di Massimo Scaligero – talaltra invece si abbia a che fare con quella che il cattivissimo e mordace Arturo Reghini chiamerebbe “una serena, oceanica, cotennosa stupidità e ignoranza”.
    A beneficio tuo, non che del colto e dell’inclita, cercherò di spiegarmi con parole che più chiare e urticanti non potrebbero essere.

    Da una parte, abbiamo a che fare con coloro che – usando una espressione (da me ripetutamente usata e abusata proprio perché oltremodo appropriata ai personaggi e alle situazioni) del mio sapientissimo amico C. – sono e si comportano come dei cinici e spregiudicati “comancheros che vendono i winchesters agli indiani fuggiti dalle riserve”. Costoro sono coloro che, dopo la morte di Rudolf Steiner, tutto hanno tentato e attuato per distruggerne, deformarne, sfigurarne sino al ridicolo l’opera, per la donazione della quale al mondo il Maestro aveva consacrato la vita, sino a consumarsi come un roveto ardente.

    Da cosa erano mossi quei “comancheros”, che si erano impadroniti della direzione della Società Antroposofica, che con metodi gesuitici e mafiosi avevano fatto tacere ogni voce a loro contraria, o semplicemente diversa? Da quale situazione interiore, da quali impulsi erano spinti coloro, che espulsero Ita Wegman ed Elisabeth Vreede, che diffamarono, calunniarono, infamarono la stessa Marie Steiner, coloro che con metodi gangsteristici – Marie Steiner dixit atque scripsit – arrivarono a derubarla persino del suo conto in banca?

    Per cercare di meritarmi gli insulti di coloro che – troppo gentili e buoni – mi vogliono buddhista, mi rivolgerò all’aurea parola del principe Siddhartha Gautama, del Buddha Shakyamuni, il quale insegna che l’essere umano, nella sua condizione di stordimento e d’ignoranza, è mosso dalla brama, dalla paura e dall’avversione. Ebbene, costoro – i “comancheros” – avendo fallito l’impresa interiore, o rinunciato ad essa per brama di potere mondano, per vanità intellettualistica o pseudoartistica, sono stati travolti interiormente dalla paura dello Spirituale, e per narcotizzare tale paura si sono mossi con avversione nei confronti di coloro che volevano essere fedeli all’Insegnamento ricevuto, e li hanno combattuti coi mezzi più sleali. i “famuli” di questi pendagli da forca, sia al loro tempo sia successivamente, infetti dal medesimo veleno, si sono sforzati di esercitare quella che gli Elleni chiamavano “kakozelia”, ossia l’odioso zelo dei mediocri nel perseguitare tutto ciò che è nobile, bello, fedele, generoso.

    Dalla parte opposta, e perfettamente consonante per viltà con la precedente, abbiamo l’ottusa massa di coloro che – per usare una volta di più una calzante espressione del mio ottimo amico C. – sono dei “mercanti di birra” e dei “venditori di trippa”. Costoro patiscono il limite del loro orizzonte estremamente ristretto, di un pensare (se tale può ancora chiamarsi…) anchilosato, fiacco, anemico, pavido, addormentato. Costoro temono e fuggono tutto ciò che è grande, e di conseguenza, possibilmente rischioso, o- a loro dire – sicuramente pericoloso. E cercano, come scrive Giovanni Colazza in UR, di superare i grandi misteri con le piccole ipotesi. Aveva ragione Massimo Scaligero a dichiarare essere “meglio delinquente che borghese”. E poiché, nella sua animica costituzione occulta, un lupaccio della steppa come il sottoscritto, ha l’anima fetente, l’anima irrazionale, e l’anima delinquente, non posso che concordare con l’indicazione antiborghese del Maestro.

    Quella dell’autore dell’articolo contro il quale, con parole sin troppo gentili e urbane, giustamente è insorto il nostro Isidoro, sarebbe più appropriato definirla – e rubo il neologismo ad Arturo Reghini (così mi rendo degno eziandio dell’insulto d’esser reghiniano…) – OSCUROVEGGENZA. Nella fattispecie, viste le formulazioni cosmologico-astrologiche del suo autore, trovandoci nell’evocata Era dei Pesci, i quali è noto che reggono nella somatica complessione dell’uomo i piedi, oserei dire che tale “oscuroveggenza” non origini nelle mani, bensì dai piedi, anzi dai sottostanti calli. Da cotale eccelsa zona, con mirabile sforzo ascetico, tale “oscuroveggenza” della volontà ascende (in questo senso è lecito parlar di “ascesi”) sino alla zona del ricambio e della nutrizione, e se non si perde nei meandri intestinali, esce – sarebbe più giusto dire “fuoriesce” – dagl’intestini con un flatulente premito, a mo’ d’Oracolo, come fosse un vaticinio risuonante dall’Antro di Trifone, e sen va pel mondo ad ammaestrar le genti.

    Ma siccome noi lupacci della steppa, in attesa di conseguir col pensiero “virtute e canoscenza”, siamo forniti dall’alma natura di un’atavica fiutoveggenza, troviamo poco gradevoli i graveolenti efflati intestinali di tale dubbia oscuroveggenza, e non ci fidiamo di un tale Oracolo. Preferiamo fidarci del Maestro che indicò nel pensiero puro la novella luminosa chiaroveggenza, cerchiamo con ogni possa di seguire quella Via del Pensiero, di purezza stellare, che Massimo Scaligero ci ha indicato, come filone aureo della Scienza dello Spirito.

    Hugo de’ Paganis,
    mangiando un bel supplì
    prende e va fino lì.

  5. Isidoro,
    visto che i cattivissimi lupacci della steppa non hanno un “look” da salvare e visto che a quest’ora della sera ai lupi, diva Luna bene juvante, si scioglie il cuore e la lingua, direi che, dopo aver dato un’occhiata nella magione antroposofazzica, sia oltremodo opportuno dare un’occhiata eziandìo in quella che dovrebbe essere – dico “dovrebbe” – il nostro angusto, ma altresì augusto casolare. Non è che l’indagine e la visione comparativa siano molto consolanti e rassicuranti.

    Ma siccome l’ho sempre pensato, detto e persino scritto, che la più dura e cruda realtà sia infinitamente migliore della più rosea illusione, direi che anche in questo caso sia savio avere il coraggio di guardare in faccia una realtà a dir poco problematica, e per taluni di noi anche dolorosa.

    Se è vero che Massimo Scaligero disse a me – e a me venne un tuffo al cuore – e ad alcuni altri che ” nel Mondo Spirituale era stata cancellata persino la parola Antroposofia”, egli disse pure che “sei mesi dopo che me ne sarò andato, a Roma sarà tutto finito!”. E posso testimoniare, in coscienza e verità, che a me, che allora ero un “pischello” nei miei vent’anni, disse: “Non ho nessuno a cui trasmettere la fiaccola”. Ed io mi sentii morire.

    Quindi, se l’Atene degli “antroposofazzi” piange, o dovrebbe piangere, la Sparta degli “scaligerpolitani” – che nel gergo del mio sapientissimo e terribilissimo amico C. sarebbero gli abitanti di Scaligeropoli – non ha proprio nulla di che stare allegra. Un esame comparativo della situazione “ateniese” e di quella “spartana” mostra inquietanti analogie, e sotto certi aspetti “Sparta” sta anche peggio di “Atene”.

    Dopo la morte di Rudolf Steiner, una serie di personalità preminenti della Società Antroposofica contestarono apertamente, e a più riprese, il Testamento – anzi i Testamenti – del Maestro, in favore di Marie Steiner, sia per quanto riguardava gli aspetti materiali, sia per quanto riguardava gli aspetti spirituali, ossia la funzione orientatrice di Marie Steiner. A Roma, il Testamento di Massimo Scaligero, subito dopo la morte di lui, con mano lesta, venne fatto sparire. Massimo Scaligero, che non era affatto ingenuo, come infedele parte interessata ama dipingerlo, lesse il Testamento delle sue volontà a quattro persone, a me ben note, le quali me ne hanno data esplicita e concorde testimonianza. Anche questo Testamento conteneva disposizioni sia materiali che spirituali, le quali furono volontariamente TUTTE, disattese e contrastate dalla suddetta infedele parte interessata.

    A Marie Steiner venne abilmente sottratta la Casa Editrice da lei fondata e finanziata, e le furono portati via i legittimi proventi della medesima. La stessa cosa – a mio parere – mi sembra venne abilmente perpetrata nei confronti della persona cui veniva legata da Massimo Scaligero la sua opera.

    Come venne diffamata e minacciata Marie Steiner, così pure ci si è comportati nei confronti della persona cara al Maestro. E come venne distorto e falsificato l’insegnamento di Steiner, altrettanto è stato fatto – a mio avviso – nei confronti di quello di Massimo Scaligero. All’avversione “antroposofica” nei confronti di ogni pratica interiore, si è affiancata l’avversione nei confronti della Concentrazione e della Via del Pensiero messa al centro da Massimo Scaligero.

    Ad aspetti mondani e mediatici provenienti da Dornach, si affianca analoga azione da parte di chi da oltre Oceano, ci viene a dire “come” dobbiamo capire e diffondere efficacemente l’opera di Massimo Scaligero. E mi fermo qui. Per ora.

    Vedete un po’ voi…

    Hugo, che dopo il supplì
    or si pappa la trota in salmì.

  6. Stimato luporso,
    commentare quello che hai scritto mi è impossibile. Come arginare un fiume in piena.
    Che sia di Reghini o tuo, il termine OSCUROVEGGENZA che hai usato mi piace e, fin da ora ti avverto che non mi farò scrupolo di usarlo di tanto in tanto.

    Le frasi che tu hai udito dalla bocca di Scaligero, pure io le ho ascoltate da lui. E certo non furono scandite con allegria o frivolezza. Poi mi furono riferite, con varianti minime, anche da una terza persona.
    I casi sono due: Massimo le comunicò a pochi, oppure le ripeté a molti che però tenevano – novelli Ulisse – tappi di cera nelle orecchie…tanto per non scomodarsi per cose sgradevoli.

    Comunque il succo di tutto è stato (e continua ad adoperarsi con energia) come un più o meno cieco, oscuro impulso all’alterazione dell’insegnamento del Dottore. Ciò risulta abbastanza facile se, lanciati nelle latrine i Testi fondamentali, si strappano fuori contesto righe o brani della vastissima produzione delle sue conferenze: in questo senso basta evitare il tempo, il luogo e la tipologia degli ascoltatori.

    Per Scaligero, che avvertì, papale papale, di seguire ciò che scriveva e non ciò di cui parlava nelle conferenze, l’alterazione è più difficile, dato che nella somma di cinquemila pagine della sua produzione, trovi che in almeno ogni tre pagine egli ribadisce quale sia la via e le modalità pratiche per accedervi. Senza aprire alcun varco favolistico che ne sia alternativo.

    Allora lo si rifiuta così, in blocco, senza nemmeno leggerne una pagina. Oppure i più “scafati” devono accontentarsi di esigue righette, da riportare all’infinito. Solo così, tali individui, immersi come sono soltanto in se stessi, possono evitare una conoscenza che, in verità è crudele, poiché non è personale o interpretativa a piacere: come nel mondo di tutti i giorni il mio portacenere è solo e sempre un portacenere: mai un cavallo o un cavatappi o altro ancora.

    E da questo si apre un discorso fenomenologico piuttosto grave: sembra che si stia (nel generico) perdendo anche la comune e sana capacità di “vedere” il sensibile per quello che esso è nel sensibile: piegandosi all’attenzione eccessiva del proprio sentire che l’oggetto modifica, smarrendo l’oggetto.
    Questo stato di subcoscienza divenuto coscienza non può essere la base di nulla, tanto meno di un indirizzo esoterico.

  7. Comunque il momento della verità non è lontano. La resa dei conti, anche sotto questo cielo, sarà prima di tutto individuale. L’orologio cosmico cammina e proporrà esami interiori ai quali nessuno potrà sottrarsi. Nelle conferenze raccolte nel volume “Il movimento occulto nel secolo diciannovesimo e il mondo della cultura”, Rudolf Steiner fa un quadro preciso della condizione nella quale si troverà chi di noi non ha sviluppato almeno una giusta comprensione, anche puramente intellettuale, del mondo dello spirito.

  8. Un amico della nobilissima stirpe dei Paflagoni o Eneti, alleati prima dei Troiani e, “poscia che fu Iliòn combusta”, della nostra amata Roma, e in seguito trapiantati nelle Venezie, mi ha fatto notare, con la squisita cortesia che lo contraddistingue da sempre, che l’originario autore dell’audace e giustissima affermazione “meglio delinquente che borghese” fu Ernst Juenger, morto centenario anni fa. La bella affermazione di Juenger piacque a molti, che pure seguivano gli indirizzi di pensiero più diversi. Nella sua formulazione originaria affermava come “sia infinitamente più degno di aspirazione (unendlich erstrebenswerter sei), esser delinquente che borghese (Verbrecher als Buerger zu sein)”. Una tale affermazione non poteva non piacere a Massimo Scaligero per la sua realistica paradossalità, di sapore Ch’an o Zen.

    Il suo significato – o almeno uno dei suoi significati – secondo quel che Massimo Scaligero, come viva fiamma, mi accese nell’anima, è che “bisogna vivere vivi e non morti”. Ossia che “bisogna vivere nello slancio, nel fervore, nell’impeto, nell’amore, nella dedizione assoluta ad una idea, ad un ideale vivente, ad un essere che per noi incarna un tale ideale vivente, per il quale è necessario e giusto tutto osare, lottare, e combattere, e vincere, e anche cadere lottando sul campo di battaglia”. Che “rinunciare a lottare per una tale idea, per un tale ideale vivente, per l’essere amato, è morire nell’anima: è arrivare ad odiare la vita, perché per il più turpe dei motivi, per viltà, diserzione codarda, ci si sente indegni di essa”.

    Allora, quanto più e meglio vale – di fronte alla disiata da molti, anzi da troppi, trantranquillità di una spenta “routine” borghese – spaccare tutto, ed esser “delinquenti”! Quanto migliore è agire e tutto osare – anche osare sbagliare – e “peccare fortiter”, ossia peccare ed errare con generosità, combattendo con ogni nostra energia per ciò che si ama e per chi si ama!

    E per onorare in maniera orsolupesca sia Juenger che Massimo Scaligero, oserei affermare che sia:
    INFINITAMENTE MEGLIO ESSER DELINQUENTE CHE INTELLETTUALE O BORGHESE, O PEGGIO INTELLETTUALE E BORGHESE!

    Hugo de’ Paganis,
    lupaccio fetente,
    atque ursus terribilis,
    e delinquente.

  9. Eppure, a quanto ci dice Rudolf Steiner, l’intelletto umano è il campo di lotta tra Michele e Arimane. Fare dietro front su questa soglia mette a rischio la moderna coscienza dell’io. Lo stesso R. Steiner pronuncia quella frase che ci viene riportata da Maria v. Sivers : “Io mi sono dovuto infilare sotto la pelle del drago”. Chi scrive sa ben distinguere, nel suo piccolo, l’intellettualità arida, preda di Arimane, da quella calda, rivolta a Michele, che da qualcuno è stata definita “intelletto d’amore”.

  10. Lei, Francesco Visciotti, ricorda malissimo: sia per il contenuto della frase che per la persona che la riferì: ho tutta l’opera di Marie Steiner e Le assicuro che quella frase nei suoi scritti non c’è!

    La frase si trova nella prefazione che Édouard Schuré fece al libro di Rudolf Steiner “Il Cristianesimo quale fatto mistico e i Misteri dell’Antichità”, e non si riferisce all’intelletto, bensì al materialismo scientifico, imperante all’epoca in cui Rudolf Steiner. Infatti, così leggiamo nella “Prefazione” di Schuré a p. 15 del “Cristianesimo quale fatto mistico”, Gius. Laterza e Figli Editori, Bari, 1932:
    “Come vincere o meglio domare e convertire il grande nemico, la scienza materialistica di oggi somigliante a un drago formidabile, armato di tutte le sue scaglie e disteso sul suo immenso tesoro? Come domare il gran drago della scienza moderna e attaccarlo al carro della verità spirituale?”.

    E poche pagine dopo, abbiamo la risposta a p. 19:
    “Seguendo i suoi studi, Rudolf Steiner si ricordò della parola del suo Maestro: “Per vincere il drago, bisogna entrare nella sua pelle”. Penetrando nella corazza del materialismo, si era impadronito delle sue armi. Egli era ormai pronto per la lotta”.

    Il materialismo scientifico – che nella sua unilateralità rivolta unicamente all’apparire sensibile ha perfettamente ragione – è qualcosa di ben altrimenti più potente che non l’intellettualismo. Nella Via del Pensiero, attraverso l’esperienza del momento originario del pensiero, sperimentabile attraverso la Concentrazione, l’intellettualismo, la dialettica, è ciò che deve essere annientato. E Massimo Scaligero avverte in “Iside Sophia, la Dea ignota” che “l’intellettualismo offende lo spirito del cuore”.

    E’ proprio l’intellettualismo degli ambienti antroposofici, ridotto ad un verbalismo vuoto e dilettantesco, ciò che suscita il riso divertito, e talvolta il giustificato disprezzo, di chi viene dal mondo della scienza e dai suoi severi metodi di pensiero e di sperimentazione rigorosa.

    Per quasi mezzo secolo ho studiato, ed insegnato, fisica, matematica, ottica geometrica e ondulatoria, fisiologia della visione ed altre materie a queste connesse. Conosco bene la storia e la filosofia della scienza, e so come vengono presi i discorsi misticheggianti e sentimentali di uno pseudoesoterismo d’accatto. In Massimo Scaligero – che il mondo rigoroso della scienza conosceva bene – ho trovato una empiria scientifica che portava ad uno sperimentare rigoroso, asciutto, in apparenza “arido”. Non è con la “calda” sentimentalità del cuore – il quale non è il cuore spirituale – che si vince la costringente potenza del Principe dell’Oscuro pensiero.

    L’intellettualismo estetizzante e sentimentale, imperante negli ambienti antroposofici, nasce dalla paura dell’esperienza spirituale diretta e dalla repulsione di fronte all’impegno eroico, indubbiamente faticoso, che la dedizione assoluta alla disciplina interiore, alla Concentrazione, esige.

    Anche quando si cita, è necessario essere esatti e rigorosi.

    Hugo, che come Figaro
    si è fumato ormai
    anche l’ultimo sigaro

  11. A parte la citazione, che ho riportato in buona fede (c’è anche una testimonianza orale della signora Steiner), la sostanza dei miei commenti era rivolta alle questioni più gravi da voi poste.

  12. Gentile Francesco Visciotti,
    nessuno dubita della Sua buona fede. Anche perché, non conoscendola, non posso farmi di Lei idea alcuna. Però conosco molti, anzi troppi, che negli ambienti occultisti e sedicenti esoterici inventano “creativamente” leggende, miti, avvenimenti mai avvenuti: tutti egualmente inverificabili. Di ciò ho potuto fare, purtroppo, vasta esperienza diretta. Persino negli ambienti antroposofici, ed eziandio in quelli “scaligeropolitani”. Persone che dicevano: – Massimo Scaligero ha detto, Massimo Scaligero “MI” ha detto -. Affermazioni le quali, verificate poi direttamente con l’interessato, si dissolvevano poi come neve al sole. In ambiente antroposofico, molte personalità preminenti, divorate dalla brama di potere e dalla vanità personale (Albert Steffen, Guenther Wachsmuth, Hermann Poppelbaum, Rudolf Grosse e molti altri che taccio) per decenni hanno propalato – per esempio per diffamare Marie Steiner ed amici fedeli di Lei – affermazioni del tipo; “Rudolf Steiner sagte; Rudolf Steiner “mir” sagte”, ossia: Rudolf Steiner disse, o Rudolf Steiner mi disse: il tutto nell’assoluta malafede più menzognera.

    Ad esempio, tra tante diverse dicerie,circolano, messe artatamente in circolazione, leggende su Papi segretamente o palesemente antroposofi, su enclicliche pontificali che – a loro dire – conterrebbero tutta la Scienza Occulta del Dottore, affermazioni di abbagliante oscuroveggenza sulle “incarnazioni” di questo o di quello, smentite da una banale ricerca storica, e da aperte comunicazioni di Rudolf Steiner, ed altre “perle” ugualmente smentite da semplici dati esteriori, o da semplice buon senso che si serva di un sano pensiero logico. Lo stesso accadde e accade per Massimo Scaligero. Ma siccome anche i trucidi – e lupacci ed orsi appenninici sono trucidissimi – hanno un cuore, preferisco, per ora fermarmi qui.

    Affermare che Marie Steiner abbia ORALMENTE detto questo o quello, esigerebbe come minimo – per semplice correttezza di pensiero – che si dicesse esplicitamente CHI e DOVE riferisce una tale affermazione orale, e DOVE, QUANDO e a CHI Marie Steiner abbia fatto una tale affermazione. Sennò, è troppo facile dire qualsiasi cosa indimostrata e indimostrabile. Come è dilagante malvezzo negli ambienti esoterici, o sedicenti tali. Poi, affermazioni totalmente inventate, messe “creativamente” in bocca a Rudolf Steiner, a Marie Steiner, a Giovanni Colazza, a Massimo Scaligero, vengono riferite da altri, divengono “tradizione”, citate e ripetute, anche in buona fede, da persone semplici e fiduciose, le quali dànno credito alla “autorevolezza” di personalità, che a chi conosce in profondità fatti e persone risultano essere dei veri farabutti: gaglioffi e pendagli da forca sotto illudenti e accattivanti apparenze.

    Certo, la buona fede è cosa lodevole, ma non sufficiente. Rudolf Steiner, nelle regole della Scuola Esoterica, avverte che “è necessario prendere l’impegno più severo e solenne di fronte alla potenza sacra di Michele non solo di dire la verità o quello che in buona fede si crede essere vero – questo impegno molti, a fior di labbra, lo prendono facilmente – bensì di indagare il più diligentemente e profondamente possibile per VERIFICARE SE è vero quel che si crede essere vero”.

    Di fronte allo Spirito, gentile Francesco Visciotti, si deve essere seri, e non ci si devono permettere, anche in buona fede, affermazioni non vere, perché queste – dice sempre Rudolf Steiner nelle regole della Scuola di Michele – agiscono distruttivamente nel movimento spirituale e nel mondo.

    Gli italiani – almeno in molti casi – tra i molti difettoni, che nel mondo li rendono simpatici ad alcuni e antipatici ad altri, hanno quello di esser in maniera somma genialmente “allergici” ad ogni forma di disciplina, esteriore ed interiore, anche la più urgente e necessaria, e di fare, o voler fare, tutto all’insegna dell’improvvisato e dell’approssimativo, con una faciloneria che poi regolarmente rovina sempre tutto.

    Direi che che sarebbe l’ora di metter fine ad un così poco lodevole andazzo, e la prima forma di trasformazione interiore è proprio quella di controllare severamente la veridicità delle proprie rappresentazioni e la fondatezza dei propri pensieri di fronte, di coltivare un rigoroso controllo del pensiero, di consacrarsi alla pratica ripetuta, intensa e fervida, della Concentrazione e della Via del Pensiero. Da una tale pratica nasce l’Amore per la Verità, che non patisce e tollera approssimazioni e compromessi con la non verità: avvenga ciò per volgare interesse o per comodità e faciloneria. Come diceva il romano Giovenale: Vitam impendere vero. Questa la Via di Michele.

    Hugo de’ Paganis,
    che giungendo in cima,
    fatica a trovar la rima,
    ma per non esser mesto,
    a pranzo poi si sbaferà
    belle trofie al pesto.

  13. Grazie. La via della quale cerco di essere sempre più degno è proprio questa, e ringrazio sempre chi mi strilla se sbando, soprattutto chi lo ha fatto quando avevo imboccato un vicolo cieco. Diciamo che la fonte della citazione è autorevole e mi fido. Fondamentale l’autenticità certa del contenuto, con tutte le sue implicazioni (al di là della primogenitura tra “intellettualismo” e “materialismo”).
    Sono un rude contadino abruzzese, e tutto posso essere tranne che intellettuale.

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